Nel quadro più generale del ruolo svolto dai Piani di Zona come promotori di cittadinanza, è sembrato opportuno soffermarsi specificamente sul ruolo assunto dalle competenze professionali degli operatori, o, meglio, sulle rappresentazioni che di esse ne danno quelli che, dei Piani di Zona, sono i principali protagonisti: rappresentanti della sfera politica, responsabili dei tavoli, operatori sociali, rappresentanti del terzo settore e dell’associazionismo. Studiare tali temi utilizzando come angolo di visuale quello delle competenze che, secondo i soggetti maggiormente coinvolti, sono necessarie per implementare la partecipazione e la cittadinanza attiva, appare, per diverse ragioni, una prospettiva decisamente interessante. La prima si riferisce alla considerazione che se l’esistenza e gli obiettivi dei Piani di Zona promossi dalla legge 328/2000, e i processi decisionali inclusivi ad esso collegati, sono riconducibili alla normativa, il loro concreto attuarsi dipende, in larga misura, dai modelli organizzativi dei servizi e dai modi con cui concretamente agiscono i diversi attori implicati nei processi, che hanno il compito e la responsabilità di concretizzare dispositivi all'interno dei loro ambiti di azione, per trasformare l'impostazione di fondo in pratiche quotidiane tramite l’attivazione delle conoscenze e delle competenze utili a tal fine. La seconda ragione riguarda alcune tensioni intrinseche al modello proposto dalla legge 328/2000 che ne condizionano in modo significativo l’attuazione. Si tratta, in particolare, dello scarto presente tra la fiducia nell’innovazione possibile come conseguenza dei dettami legislativi e le concrete possibilità di realizzazione, dato che non è sufficiente normare la creazione di nuove istituzioni per ottenere mutamenti significativi nelle relazioni tra attori presenti nei territori a livello locale. Infatti, sono le pratiche sociali e i processi relazionali e negoziali attivati che, a partire dagli interessi in gioco, dai differenti gradi di potere insiti nelle posizioni assunte dagli attori, dalla possibilità di accedere o meno alle opportunità possono creare nuove configurazioni concrete di governance. In questo senso, anche la stessa lettura dei bisogni, o meglio delle domande e l’analisi delle risorse disponibili rischiano di esplicarsi nella riproposizione più o meno consapevole di concezioni stereotipate, connesse a precostituiti frames cognitivi che confermano l’auto-legittimazione dei partecipanti, i quali strutturano, in tal modo, il dibattito sulle politiche come routine utile a farsi riconoscere nella propria identità. La terza ragione di interesse ad adottare la prospettiva dei principali protagonisti della costruzione dei Piani di Zona concerne il tentativo di cogliere le reciproche rappresentazioni che del proprio ruolo e del ruolo degli altri attori danno i diversi soggetti (amministratori locali, professionisti sociali, associazioni di cittadini) cogliendone sovrapposizioni, omogeneità, ma, ancor più, le eventuali discrasie. I modelli culturali e valoriali degli operatori, le loro competenze, le immagini che essi hanno del proprio ruolo e di quello degli altri operatori con cui si rapportano nel loro lavoro sono infatti cruciali per definire la qualità degli interventi agiti e giocano, spesso, un ruolo centrale nel funzionamento e nella stessa organizzazione dei servizi . Emerge, dunque, l’importanza delle competenze sia per i professionisti sia per tutti gli altri attori coinvolti nei processi partecipativi. Quali sono, allo stato attuale, nelle rappresentazioni dei principali protagonisti le competenze riconosciute come utili per promuovere la partecipazione? E quale ruolo possono giocare i professionisti nei processi di costruzione di partecipazione e di cittadinanza attiva? Sono, questi, alcuni degli interrogativi cognitivi che hanno caratterizzato la nostra analisi delle 100 interviste effettuate nella ricerca.

Partecipazione, professioni, competenze

ALLEGRI, Elena;
2016-01-01

Abstract

Nel quadro più generale del ruolo svolto dai Piani di Zona come promotori di cittadinanza, è sembrato opportuno soffermarsi specificamente sul ruolo assunto dalle competenze professionali degli operatori, o, meglio, sulle rappresentazioni che di esse ne danno quelli che, dei Piani di Zona, sono i principali protagonisti: rappresentanti della sfera politica, responsabili dei tavoli, operatori sociali, rappresentanti del terzo settore e dell’associazionismo. Studiare tali temi utilizzando come angolo di visuale quello delle competenze che, secondo i soggetti maggiormente coinvolti, sono necessarie per implementare la partecipazione e la cittadinanza attiva, appare, per diverse ragioni, una prospettiva decisamente interessante. La prima si riferisce alla considerazione che se l’esistenza e gli obiettivi dei Piani di Zona promossi dalla legge 328/2000, e i processi decisionali inclusivi ad esso collegati, sono riconducibili alla normativa, il loro concreto attuarsi dipende, in larga misura, dai modelli organizzativi dei servizi e dai modi con cui concretamente agiscono i diversi attori implicati nei processi, che hanno il compito e la responsabilità di concretizzare dispositivi all'interno dei loro ambiti di azione, per trasformare l'impostazione di fondo in pratiche quotidiane tramite l’attivazione delle conoscenze e delle competenze utili a tal fine. La seconda ragione riguarda alcune tensioni intrinseche al modello proposto dalla legge 328/2000 che ne condizionano in modo significativo l’attuazione. Si tratta, in particolare, dello scarto presente tra la fiducia nell’innovazione possibile come conseguenza dei dettami legislativi e le concrete possibilità di realizzazione, dato che non è sufficiente normare la creazione di nuove istituzioni per ottenere mutamenti significativi nelle relazioni tra attori presenti nei territori a livello locale. Infatti, sono le pratiche sociali e i processi relazionali e negoziali attivati che, a partire dagli interessi in gioco, dai differenti gradi di potere insiti nelle posizioni assunte dagli attori, dalla possibilità di accedere o meno alle opportunità possono creare nuove configurazioni concrete di governance. In questo senso, anche la stessa lettura dei bisogni, o meglio delle domande e l’analisi delle risorse disponibili rischiano di esplicarsi nella riproposizione più o meno consapevole di concezioni stereotipate, connesse a precostituiti frames cognitivi che confermano l’auto-legittimazione dei partecipanti, i quali strutturano, in tal modo, il dibattito sulle politiche come routine utile a farsi riconoscere nella propria identità. La terza ragione di interesse ad adottare la prospettiva dei principali protagonisti della costruzione dei Piani di Zona concerne il tentativo di cogliere le reciproche rappresentazioni che del proprio ruolo e del ruolo degli altri attori danno i diversi soggetti (amministratori locali, professionisti sociali, associazioni di cittadini) cogliendone sovrapposizioni, omogeneità, ma, ancor più, le eventuali discrasie. I modelli culturali e valoriali degli operatori, le loro competenze, le immagini che essi hanno del proprio ruolo e di quello degli altri operatori con cui si rapportano nel loro lavoro sono infatti cruciali per definire la qualità degli interventi agiti e giocano, spesso, un ruolo centrale nel funzionamento e nella stessa organizzazione dei servizi . Emerge, dunque, l’importanza delle competenze sia per i professionisti sia per tutti gli altri attori coinvolti nei processi partecipativi. Quali sono, allo stato attuale, nelle rappresentazioni dei principali protagonisti le competenze riconosciute come utili per promuovere la partecipazione? E quale ruolo possono giocare i professionisti nei processi di costruzione di partecipazione e di cittadinanza attiva? Sono, questi, alcuni degli interrogativi cognitivi che hanno caratterizzato la nostra analisi delle 100 interviste effettuate nella ricerca.
2016
978-88-917-4127-1
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11579/74590
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