Il bricolage contadino e l’arte plastica effimera sono due traiettorie antropologiche che sono fortemente cogenti e interpretative della nostra categoria alimentare oggetto d’indagine. Lo studio del caso riguardante i ravioli al plin si presta particolarmente per l’interpretazione critica di queste due linee culturali. La pasta ripiena che si prepara in Langa, di cui riconosciamo la tradizione e l’areale di diffusione, è un alimento strutturalmente definito da forma e contenuto. Il contenuto è un ripieno che può essere appositamente preparato con una ricetta, che prevede parti di carni, come il coniglio, il maiale, il bue e verdure cotte, come spinaci, verze… Riso, spezie, formaggi completano il ripieno, che viene cotto a fuoco lento e poi lasciato raffreddare per poi essere rinchiuso, in piccoli mucchietti, in una sfoglia di pasta all’uovo fresca tirata e stesa con il mattarello. Questa azione più tradizionale è da lungo tempo, dalla metà del Novecento, sostituita egregiamente dalla macchina per fare la pasta “Imperia” (nomen omen), un prodotto industriale che ha rappresentato il primo cambiamento radicale del fare nella cucina tradizionale di Langa. Un’innovazione tanto gradita che il regalo di nozze più prestigioso e ambito da una sposa del tempo era proprio l’Imperia. La macchina azionata meccanicamente con la mano destra mentre la sinistra inserisce nei rulli pezzi di pasta che, dopo alcuni ripassi nella macchina, diventeranno il velo che accoglierà il ripieno. La stessa operazione veniva effettuata con i ravioli al plin, fatti a partire dagli scarti della settimana. Quando la cuciniera comprendeva che aveva da parte prodotti edibili non più riproponibili nel pranzo domenicale, a partire da quello che aveva a disposizione amalgamava sapientemente i resti, sino ad ottenere un nuovo cibo ringiovanito, gastronomicamente meno stanco e portatore di un complessivo sapore che non rinviava a un cibo esausto. In tal modo, la donna della cascina non alimentava la pattumiera di casa, ma sapientemente riusciva ad imbandire il pranzo dell’eccezionalità con i suddetti scarti. Con il bricolage casalingo la donna re-inventava insiemi edibili anche esausti, proponendo un prodotto nuovo che la forma ricercata, miniaturizzata esaltava, coniugando la bontà con la bellezza, due insiemi che contribuiscono a definire il piacere. Se le cose stanno così, come ci invita a pensare Jacob, il cibo contenuto-contenitore può essere parte costitutiva di quella ricerca del piacere quale “ingegnosa trovata evolutiva”, di una traiettoria del processo di umanizzazione che, da sempre, l’uomo persegue per differenziarsi dalla sua animalità delle origini. Armonizzare contenuto e contenitore, alla ricerca di un sapore innovativo, migliore, rientra in quella ricerca evolutiva del piacere che, nell’espressività raggiunta dalla forma, si accresce in bellezza. Sovente l’arte plastica effimera che, soprattutto la donna di casa mette in scena per le grandi occasioni cerimoniali e calendariali, dura l’arco di un pranzo. La famiglia si mette comunitariamente a tavola e, nel corso di un pasto, consuma un progetto gastronomico che certamente attiene a questa capacità creativa che trova le ragioni logiche e affettive nella tradizione della cucina del territorio. In questo quadro gastronomico più generale ben si colloca ancora il caso delle raviole al plin, piatto che sembra originare in un definito areale di Langa e che richiede un complesso e artistico lavoro di più nottate trascorse a preparare miniature di pasta che rivestono a festa un ripieno che, da solo, non invita a gastronomiche cerimonialità, poiché la sua informe espressività e il suo intrinseco sapore devono sprigionarsi liberi nella cottura, ripieno protetto dalla cesellata pasta che lo avvolge e lo esalta. Questo contributo artistico che la donna esercita amplifica ritualmente il progetto gastronomico, il cui sostrato etnico più profondo è il legame alla terra che lo esprime e lo consuma. Infatti le raviole al plin sono costituite da prodotti del territorio e con il loro sapore e profumo ne esaltano l’etnicità, i profondi ritmi costitutivi che definiscono i tempi e gli spazi delle colline di Langa.
Bello da mangiare. Di contenuto, di contenitore. Le raviole al Plin (Video)
PORPORATO, Davide;Gianpaolo Fassino;
2015-01-01
Abstract
Il bricolage contadino e l’arte plastica effimera sono due traiettorie antropologiche che sono fortemente cogenti e interpretative della nostra categoria alimentare oggetto d’indagine. Lo studio del caso riguardante i ravioli al plin si presta particolarmente per l’interpretazione critica di queste due linee culturali. La pasta ripiena che si prepara in Langa, di cui riconosciamo la tradizione e l’areale di diffusione, è un alimento strutturalmente definito da forma e contenuto. Il contenuto è un ripieno che può essere appositamente preparato con una ricetta, che prevede parti di carni, come il coniglio, il maiale, il bue e verdure cotte, come spinaci, verze… Riso, spezie, formaggi completano il ripieno, che viene cotto a fuoco lento e poi lasciato raffreddare per poi essere rinchiuso, in piccoli mucchietti, in una sfoglia di pasta all’uovo fresca tirata e stesa con il mattarello. Questa azione più tradizionale è da lungo tempo, dalla metà del Novecento, sostituita egregiamente dalla macchina per fare la pasta “Imperia” (nomen omen), un prodotto industriale che ha rappresentato il primo cambiamento radicale del fare nella cucina tradizionale di Langa. Un’innovazione tanto gradita che il regalo di nozze più prestigioso e ambito da una sposa del tempo era proprio l’Imperia. La macchina azionata meccanicamente con la mano destra mentre la sinistra inserisce nei rulli pezzi di pasta che, dopo alcuni ripassi nella macchina, diventeranno il velo che accoglierà il ripieno. La stessa operazione veniva effettuata con i ravioli al plin, fatti a partire dagli scarti della settimana. Quando la cuciniera comprendeva che aveva da parte prodotti edibili non più riproponibili nel pranzo domenicale, a partire da quello che aveva a disposizione amalgamava sapientemente i resti, sino ad ottenere un nuovo cibo ringiovanito, gastronomicamente meno stanco e portatore di un complessivo sapore che non rinviava a un cibo esausto. In tal modo, la donna della cascina non alimentava la pattumiera di casa, ma sapientemente riusciva ad imbandire il pranzo dell’eccezionalità con i suddetti scarti. Con il bricolage casalingo la donna re-inventava insiemi edibili anche esausti, proponendo un prodotto nuovo che la forma ricercata, miniaturizzata esaltava, coniugando la bontà con la bellezza, due insiemi che contribuiscono a definire il piacere. Se le cose stanno così, come ci invita a pensare Jacob, il cibo contenuto-contenitore può essere parte costitutiva di quella ricerca del piacere quale “ingegnosa trovata evolutiva”, di una traiettoria del processo di umanizzazione che, da sempre, l’uomo persegue per differenziarsi dalla sua animalità delle origini. Armonizzare contenuto e contenitore, alla ricerca di un sapore innovativo, migliore, rientra in quella ricerca evolutiva del piacere che, nell’espressività raggiunta dalla forma, si accresce in bellezza. Sovente l’arte plastica effimera che, soprattutto la donna di casa mette in scena per le grandi occasioni cerimoniali e calendariali, dura l’arco di un pranzo. La famiglia si mette comunitariamente a tavola e, nel corso di un pasto, consuma un progetto gastronomico che certamente attiene a questa capacità creativa che trova le ragioni logiche e affettive nella tradizione della cucina del territorio. In questo quadro gastronomico più generale ben si colloca ancora il caso delle raviole al plin, piatto che sembra originare in un definito areale di Langa e che richiede un complesso e artistico lavoro di più nottate trascorse a preparare miniature di pasta che rivestono a festa un ripieno che, da solo, non invita a gastronomiche cerimonialità, poiché la sua informe espressività e il suo intrinseco sapore devono sprigionarsi liberi nella cottura, ripieno protetto dalla cesellata pasta che lo avvolge e lo esalta. Questo contributo artistico che la donna esercita amplifica ritualmente il progetto gastronomico, il cui sostrato etnico più profondo è il legame alla terra che lo esprime e lo consuma. Infatti le raviole al plin sono costituite da prodotti del territorio e con il loro sapore e profumo ne esaltano l’etnicità, i profondi ritmi costitutivi che definiscono i tempi e gli spazi delle colline di Langa.File | Dimensione | Formato | |
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