Complice la crisi pandemica da Covid-19, la teleassistenza si è diffusa capillarmente e ha aumentato la capacità di intervento. La letteratura recente su questo tema ha mostrato sia l’ampliamento dei campi di intervento dell’assistenza a distanza – che fino al 2019 erano per lo più concentrati nei settori della cardiologia, dell’endocrinologia e della radiologia –, sia l’efficacia delle nuove modalità di visita a distanza in termini di soddisfazione degli operatori sanitari e dei pazienti. L’assistenza sanitaria a distanza è declinabile a tutti gli effetti come nuova forma comunicativa tra malato e personale sanitario (che include medici, infermieri e volontari): nel 2020 è stata riconosciuta dal SSN come prestazione sanitaria. Il codice deontologico del medico, tra l’altro, norma che il dialogo tra soggetto curante e malato è parte del percorso terapeutico da intraprendere in maniera condivisa. Un dialogo che, nella pratica, è stato ed è spesso ostacolato dalla realtà ospedaliera e dei centri di assistenza mal distribuiti. Proprio a tal riguardo l’uso abituale delle nuove tecnologie di comunicazione facilita e non ostacola una consultazione medica, che invece di essere basata esclusivamente sul contatto, si va a poggiare anche sulla connessione. Le nuove forme di comunicazione e monitoraggio a distanza sembrano in grado di impattare positivamente sulla salute del paziente, per diverse ragioni ma due in particolare. La prima, più ovvia da una prospettiva clinica, sta nel vantaggio di avere un oggettivo e tempestivo monitoraggio delle condizioni del paziente e intervenire prima di una ricaduta grave, invitando ad esempio il paziente a un ricovero precauzionale o a un cambiamento dell’intervento terapeutico. La seconda riguarda il ruolo epistemicamente attivo che il paziente è invitato a svolgere. In una relazione terapeutica a distanza, infatti, il paziente tende a ricollocarsi in veste di collaboratore, promotore, di “alleato terapeutico”: l’indiretta, quotidiana presenza del personale sanitario – tangibile nelle varie forme dei devices di monitoraggio, vere e proprie “propaggini” tecnologiche dell’assistente sanitario – promuove spinte motivazionali positive, rassicuranti per i pazienti. A sua volta, il senso di sicurezza e fiducia auto-indotto – nonostante la fragilità fisica associata alla malattia e ai processi di invecchiamento – sembra promuovere forme nuove e personalizzate di prevenzione, autoconsapevolezza e impegno, che si riflettono in pratiche di creatività, cura di sé e pro-socialità.

Nuove forme di prossimità nella relazione di cura a distanza. Il caso della teleassistenza nelle malattie croniche

Emiliano Loria
2024-01-01

Abstract

Complice la crisi pandemica da Covid-19, la teleassistenza si è diffusa capillarmente e ha aumentato la capacità di intervento. La letteratura recente su questo tema ha mostrato sia l’ampliamento dei campi di intervento dell’assistenza a distanza – che fino al 2019 erano per lo più concentrati nei settori della cardiologia, dell’endocrinologia e della radiologia –, sia l’efficacia delle nuove modalità di visita a distanza in termini di soddisfazione degli operatori sanitari e dei pazienti. L’assistenza sanitaria a distanza è declinabile a tutti gli effetti come nuova forma comunicativa tra malato e personale sanitario (che include medici, infermieri e volontari): nel 2020 è stata riconosciuta dal SSN come prestazione sanitaria. Il codice deontologico del medico, tra l’altro, norma che il dialogo tra soggetto curante e malato è parte del percorso terapeutico da intraprendere in maniera condivisa. Un dialogo che, nella pratica, è stato ed è spesso ostacolato dalla realtà ospedaliera e dei centri di assistenza mal distribuiti. Proprio a tal riguardo l’uso abituale delle nuove tecnologie di comunicazione facilita e non ostacola una consultazione medica, che invece di essere basata esclusivamente sul contatto, si va a poggiare anche sulla connessione. Le nuove forme di comunicazione e monitoraggio a distanza sembrano in grado di impattare positivamente sulla salute del paziente, per diverse ragioni ma due in particolare. La prima, più ovvia da una prospettiva clinica, sta nel vantaggio di avere un oggettivo e tempestivo monitoraggio delle condizioni del paziente e intervenire prima di una ricaduta grave, invitando ad esempio il paziente a un ricovero precauzionale o a un cambiamento dell’intervento terapeutico. La seconda riguarda il ruolo epistemicamente attivo che il paziente è invitato a svolgere. In una relazione terapeutica a distanza, infatti, il paziente tende a ricollocarsi in veste di collaboratore, promotore, di “alleato terapeutico”: l’indiretta, quotidiana presenza del personale sanitario – tangibile nelle varie forme dei devices di monitoraggio, vere e proprie “propaggini” tecnologiche dell’assistente sanitario – promuove spinte motivazionali positive, rassicuranti per i pazienti. A sua volta, il senso di sicurezza e fiducia auto-indotto – nonostante la fragilità fisica associata alla malattia e ai processi di invecchiamento – sembra promuovere forme nuove e personalizzate di prevenzione, autoconsapevolezza e impegno, che si riflettono in pratiche di creatività, cura di sé e pro-socialità.
2024
978-88-5529-539-0
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