Lo scritto prendere l’avvio dal pensiero di uno dei massimi dogmatici della seconda metà del novecento, apprezzato soprattutto per il suo contributo alla scientificità della dogmatica, per verificare la necessità e la possibilità di continuare ad usare il metodo dogmatico nell’attuale situazione della scienza giuridica penale. L’opera di Marcello Gallo ha rappresentato una pietra miliare nella serie degli studi dogmatici, e la discussione sul metodo formale e valutativo in giurisprudenza è un tema che può dirsi costantemente ricorrente. Sebbene la maggior parte della dottrina giuridica del XIX e della prima metà del XX secolo favorisse il formalismo (Kelsen), vi furono notevoli eccezioni. L'eccezione più importante nel diritto penale fu senza dubbio quella rappresentata dall'orientamento filosofico degli hegeliani del diritto penale. Queste tensioni esistevano ovviamente alla fine del XIX secolo nel contesto del dibattito sul metodo delle scienze umane e sociali (la cosiddetta controversia sul giudizio di valore). Allora come oggi, si riteneva che la dogmatica del diritto penale avesse come obiettivo il diritto positivo - le leggi - e che il suo metodo consistesse nella descrizione e sistematizzazione del suo contenuto. D'altro canto, però, altri le attribuivano il compito di riconoscere il contenuto del diritto “giusto”, secondo una concezione idealistica e costruttiva. La dogmatica consiste in ciò: ogni processo di qualificazione giuridica procede da determinate categorie formali che si mantengono costanti a se stesse, quali che siano le differenze individuali tra i singoli oggetti ai quali di volta in volta esse sono applicate. Il fatto che a tali categorie più o meno consapevolmente si attribuisca il ruolo di una premessa assiomatica di ogni esperienza conoscitiva che abbia a suo contenuto i fenomeni del diritto spiega che si parli a questo proposito di condizioni logico-trascendentali di ogni accadimento giuridico. Lo zoccolo duro della dogmatica penalistica italiana sta nel sapere coniugare l’approccio dogmatico con il dato normativo (in molti casi piuttosto scarno) per darne un significato valido sempre e sistematicamente ineccepibile. È quindi necessario astrarre sia dal soggettivismo, sia dal naturalismo e, per quanto possibile, mantenere l’indagine sul piano normativo, più asettico e scevro da contaminazioni personali dall’interprete. Ad esempio, in materia di colpa, è necessario prima individuare la situazione di “dovere” agire secondo la prescrizione normativa e, solo in un secondo momento, individuare la nota del “potere” conformarsi alla regola di condotta, sempre secondo un giudizio normativo ipotetico. Un atteggiamento, quello della dogmatica, prescrittivo, di “dover essere”, nei confronti della formulazione dei precetti normativi, sia sotto il profilo dell’intelligibilità, sia sotto il profilo – strettamente connesso – dell’“afferrabilità” del bene giuridico tutelato in modo da poter essere percepito dal cittadino almeno nella sfera laica del profano. “Obbligo” ed “illecito” rappresentano quindi un’endiadi in un certo senso simmetrica, avendo riguardo al ruolo dialettico che le due figure giocano nel discorso giuridico: situazione di dovere – valutazione di antidoverosità, per cui il fatto realizzato da un non imputabile rientra perfettamente nello schema “violazione dell’obbligo”-“illecito” e dà luogo a tutte le conseguenze previste dall’ordinamento. Conseguenze tangibili si hanno riguardo alla “cause di non punibilità”. Alla domanda se deve negarsi l’esistenza di un illecito penale quando, nonostante l’accertamento di un fatto oggettivamente corrispondente alla descrizione normativa, si disponga la non applicazione della pena, si risponde, sul piano rigorosamente dogmatico, che bisogna tener conto di tutta una serie di presupposti che ricolleghino, sempre in astratto, l’applicazione di una pena o di una misura di sicurezza o giustifichino una condanna al risarcimento del danno non patrimoniale. Il nucleo centrale della qualifica di illecito di un fatto, consente di inquadrare nel modo più preciso possibile quella fattispecie nell’ambito delle cause di non punibilità (estintive o personali) ovvero nel campo delle cause di giustificazione qualora quella qualifica, ricostruita per via ordinamentale, manchi. Le conseguenze, anche sul piano del diritto processuale penale sono chiare: la costruzione di una dogmatica dell’illecito fondata sul dovere e sull’obbligo, come visto finora, imporrà al giudice di privilegiare un accertamento di merito e, qualora sussista una causa di assoluzione o di proscioglimento, darne immediatamente conto. La causa estintiva del reato non toglie nessuna qualifica di illeceità e sarà preclusiva di una sentenza di condanna anche se, in realtà, il fatto presenta tutte le caratteristiche del reato. The paper rethink about some fundamental problems of dogmatics in the light of the thought of one of the greatest Italian penalists of the second half of the 20th century. Beginning with the concept of the penal norm, straddling imperativist theories and theories of hypothetical judgement, the concepts of duty and obligation are examined and, through this theoretical filter, an attempt is made to offer a systematic vision of some general problems of criminal liability
Riflessioni con Marcello Gallo su alcuni argomenti di teoria generale del reato
Gianluca Ruggiero
2023-01-01
Abstract
Lo scritto prendere l’avvio dal pensiero di uno dei massimi dogmatici della seconda metà del novecento, apprezzato soprattutto per il suo contributo alla scientificità della dogmatica, per verificare la necessità e la possibilità di continuare ad usare il metodo dogmatico nell’attuale situazione della scienza giuridica penale. L’opera di Marcello Gallo ha rappresentato una pietra miliare nella serie degli studi dogmatici, e la discussione sul metodo formale e valutativo in giurisprudenza è un tema che può dirsi costantemente ricorrente. Sebbene la maggior parte della dottrina giuridica del XIX e della prima metà del XX secolo favorisse il formalismo (Kelsen), vi furono notevoli eccezioni. L'eccezione più importante nel diritto penale fu senza dubbio quella rappresentata dall'orientamento filosofico degli hegeliani del diritto penale. Queste tensioni esistevano ovviamente alla fine del XIX secolo nel contesto del dibattito sul metodo delle scienze umane e sociali (la cosiddetta controversia sul giudizio di valore). Allora come oggi, si riteneva che la dogmatica del diritto penale avesse come obiettivo il diritto positivo - le leggi - e che il suo metodo consistesse nella descrizione e sistematizzazione del suo contenuto. D'altro canto, però, altri le attribuivano il compito di riconoscere il contenuto del diritto “giusto”, secondo una concezione idealistica e costruttiva. La dogmatica consiste in ciò: ogni processo di qualificazione giuridica procede da determinate categorie formali che si mantengono costanti a se stesse, quali che siano le differenze individuali tra i singoli oggetti ai quali di volta in volta esse sono applicate. Il fatto che a tali categorie più o meno consapevolmente si attribuisca il ruolo di una premessa assiomatica di ogni esperienza conoscitiva che abbia a suo contenuto i fenomeni del diritto spiega che si parli a questo proposito di condizioni logico-trascendentali di ogni accadimento giuridico. Lo zoccolo duro della dogmatica penalistica italiana sta nel sapere coniugare l’approccio dogmatico con il dato normativo (in molti casi piuttosto scarno) per darne un significato valido sempre e sistematicamente ineccepibile. È quindi necessario astrarre sia dal soggettivismo, sia dal naturalismo e, per quanto possibile, mantenere l’indagine sul piano normativo, più asettico e scevro da contaminazioni personali dall’interprete. Ad esempio, in materia di colpa, è necessario prima individuare la situazione di “dovere” agire secondo la prescrizione normativa e, solo in un secondo momento, individuare la nota del “potere” conformarsi alla regola di condotta, sempre secondo un giudizio normativo ipotetico. Un atteggiamento, quello della dogmatica, prescrittivo, di “dover essere”, nei confronti della formulazione dei precetti normativi, sia sotto il profilo dell’intelligibilità, sia sotto il profilo – strettamente connesso – dell’“afferrabilità” del bene giuridico tutelato in modo da poter essere percepito dal cittadino almeno nella sfera laica del profano. “Obbligo” ed “illecito” rappresentano quindi un’endiadi in un certo senso simmetrica, avendo riguardo al ruolo dialettico che le due figure giocano nel discorso giuridico: situazione di dovere – valutazione di antidoverosità, per cui il fatto realizzato da un non imputabile rientra perfettamente nello schema “violazione dell’obbligo”-“illecito” e dà luogo a tutte le conseguenze previste dall’ordinamento. Conseguenze tangibili si hanno riguardo alla “cause di non punibilità”. Alla domanda se deve negarsi l’esistenza di un illecito penale quando, nonostante l’accertamento di un fatto oggettivamente corrispondente alla descrizione normativa, si disponga la non applicazione della pena, si risponde, sul piano rigorosamente dogmatico, che bisogna tener conto di tutta una serie di presupposti che ricolleghino, sempre in astratto, l’applicazione di una pena o di una misura di sicurezza o giustifichino una condanna al risarcimento del danno non patrimoniale. Il nucleo centrale della qualifica di illecito di un fatto, consente di inquadrare nel modo più preciso possibile quella fattispecie nell’ambito delle cause di non punibilità (estintive o personali) ovvero nel campo delle cause di giustificazione qualora quella qualifica, ricostruita per via ordinamentale, manchi. Le conseguenze, anche sul piano del diritto processuale penale sono chiare: la costruzione di una dogmatica dell’illecito fondata sul dovere e sull’obbligo, come visto finora, imporrà al giudice di privilegiare un accertamento di merito e, qualora sussista una causa di assoluzione o di proscioglimento, darne immediatamente conto. La causa estintiva del reato non toglie nessuna qualifica di illeceità e sarà preclusiva di una sentenza di condanna anche se, in realtà, il fatto presenta tutte le caratteristiche del reato. The paper rethink about some fundamental problems of dogmatics in the light of the thought of one of the greatest Italian penalists of the second half of the 20th century. Beginning with the concept of the penal norm, straddling imperativist theories and theories of hypothetical judgement, the concepts of duty and obligation are examined and, through this theoretical filter, an attempt is made to offer a systematic vision of some general problems of criminal liabilityFile | Dimensione | Formato | |
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