I modelli di sviluppo, socio-culturali, produttivi e del lavoro, unitamente ai sistemi di welfare tradizionali hanno conosciuto, negli ultimi decenni, una crisi generalizzata; crisi che ha interessato i Paesi in via di sviluppo così come anche le economie dei Paesi industrializzati, resa più acuta dagli effetti dell’evento pandemico. Sono le zone rurali e le aree ritenute “marginali” – nell’ambito di una logica di sviluppo socio-economico centralizzante e nel contempo escludente – quelle colpite in maniera maggiore [Storti 2016; Carrosio 2019]. Usato come sinonimo di agricolo, o anche di ritardo, il concetto di “rurale” è stato altresì identificato mediante altri approcci che ne hanno eletto la dimensione interstiziale a fianco di quella micro-collettiva o sostenibile [INSOR 1992]. Ne sono derivate definizioni che, nel tempo e nello spazio, alcuni studi e ricerche hanno sconfessato o limitato in quanto non ritenute adatte a descrivere la complessità che il mondo rurale porta con sé, legata alla molteplicità di variabili e progettualità che, interagendo tra loro sui territori, contribuiscono a delineare particolari percorsi di sviluppo locale [Storti 2000]. Visioni e orientamenti di tipo discendente delle politiche pubbliche, basati su modalità di supporto top down, hanno contribuito a generare una progressiva erosione e indebolimento dei territori “marginali” attraverso una fuoriuscita di capitale umano e un dirottamento delle risorse economico-finanziarie. Il dibattito sulla definizione di “rurale” non si è limitato alla letteratura accademica, ma ha dato origine anche a diversi filoni di indagine sviluppati in sede istituzionale. Grazie all’impulso dato dall’Unione Europea in questo contesto, l’identificazione del rurale è divenuta infatti una questione rilevante anche politicamente, nel senso che essa è necessaria come base per formulare politiche di sviluppo specifiche ed individuare le zone destinatarie degli interventi. La geografia assume, in questo scenario, un ruolo di importanza crescente al fine di dedicare indagini e riflessioni ai “territori spezzati”, in modo da esplorare e interrogare i territori rurali in tutti i loro aspetti di natura fisica e antropica, nonché relazionale e dinamica [Jánica e Palumbo 2019]. In tale prospettiva, le aree rurali in transizione occupano una marginalità che riporta in luce ambiti periferici pro-attivi; le periferie costituiscono, spesso, contesti di innovazione e trasformazione, ecosistemi fertili per sviluppare progetti trasversali ai settori. Essi rappresentano luoghi d’elezione in cui osservare l’azione di partnership inedite tra associazioni, gruppi informali, imprese sociali, enti locali, cittadini [Cau 2016]. Ai processi di spopolamento, rarefazione di servizi, impoverimento del tessuto sociale, indubbiamente estesi e comuni a molte aree periferiche italiane ed europee, soprattutto meno prossime rispetto ai centri urbani, fanno da contraltare comunità motivate, organizzate e focalizzate su medesimi obiettivi di ripresa, che leggono nelle fasi post Covid-19 opportunità e occasioni di rilancio [Cois e Pacetti, 2020]. Processi di riappropriazione e rilettura di quelli che vengono riconosciuti come beni comuni e identitari [SSG 2016] passano attraverso esperienze diversificate e basate sull’adozione di strumenti diversi, talvolta integrati tra loro, che vanno dalle mappe alle cooperative di comunità, dagli ecomusei alle passeggiate comunitarie, dai festival alle rassegne cinematografiche o musicali rurali. Ad essi si aggiungono, in una logica di nuova vivibilità dei borghi e delle aree interne come condizioni per nuove cittadinanze, innesti e proposte volte a un ricorso ragionato alla tecnologia per l’offerta di servizi alla persona (es. servizi di prossimità, sicurezza, telemedicina, orientati agli abitanti così come ai visitatori o a coloro che provengono dall’esterno). Le aree rurali sono, infatti, esposte a flussi di mobilità di risorse e di persone che ne modificano le traiettorie e rimescolano strati sociali (abitanti locali, migranti, nuovi contadini, abitanti di seconde case, turisti, nomadi digitali, ecc.) diversi per ceti ed età; dalla possibilità di scambiare informazioni e di stabilire inedite alleanze nascono progetti partecipati e condivisi interessanti. Queste dinamiche hanno investito anche le Alpi, in cui si possono trovare esempi e casi che possono divenire un riferimento, s-oggettivo, di analisi e codifica dell’approccio partecipato [Cerutti 2019]. In questa cornice, il capitolo si propone di narrare vicende, obiettivi ed esiti di tre differenti progettualità portate avanti nelle montagne liguri e piemontesi, mettendo in evidenza i diversi strumenti impiegati, con forza, unione e lungimiranza, dalle comunità che vivono e operano in tali contesti. Obiettivo del capitolo quello di porre in evidenza come la “logica rodariana”, intesa quale “grammatica” di creatività progettuale partecipata, possa essere adottata come filtro metodologico qualitativo per analizzare tali iniziative e per raggiungere due obiettivi fondamentali: scovare, lungo i perimetri e dentro le stesse aree marginali le spinte e le energie di rinascita/ripartenza; individuare approcci e strumenti replicabili in contesti analoghi, in cui le comunità siano i protagonisti di una narrazione viva e vitale. L’esplicazione del titolo e l’adozione del un punto di vista “rodariano” consentono di trarre alcune (non) conclusioni – presentate nell’ultimo paragrafo – e di rimarcare la necessità di nominare e ri-nominare risorse e idee per mantenere in vita piccoli comuni e territori alpini, densi di storie e geografie mutevoli, co-creative, collettive e affascinanti.

«C’era due volte» la narrazione: una lettura rodariana delle comunità progettanti lungo le Alpi

Stefania Cerutti
2023-01-01

Abstract

I modelli di sviluppo, socio-culturali, produttivi e del lavoro, unitamente ai sistemi di welfare tradizionali hanno conosciuto, negli ultimi decenni, una crisi generalizzata; crisi che ha interessato i Paesi in via di sviluppo così come anche le economie dei Paesi industrializzati, resa più acuta dagli effetti dell’evento pandemico. Sono le zone rurali e le aree ritenute “marginali” – nell’ambito di una logica di sviluppo socio-economico centralizzante e nel contempo escludente – quelle colpite in maniera maggiore [Storti 2016; Carrosio 2019]. Usato come sinonimo di agricolo, o anche di ritardo, il concetto di “rurale” è stato altresì identificato mediante altri approcci che ne hanno eletto la dimensione interstiziale a fianco di quella micro-collettiva o sostenibile [INSOR 1992]. Ne sono derivate definizioni che, nel tempo e nello spazio, alcuni studi e ricerche hanno sconfessato o limitato in quanto non ritenute adatte a descrivere la complessità che il mondo rurale porta con sé, legata alla molteplicità di variabili e progettualità che, interagendo tra loro sui territori, contribuiscono a delineare particolari percorsi di sviluppo locale [Storti 2000]. Visioni e orientamenti di tipo discendente delle politiche pubbliche, basati su modalità di supporto top down, hanno contribuito a generare una progressiva erosione e indebolimento dei territori “marginali” attraverso una fuoriuscita di capitale umano e un dirottamento delle risorse economico-finanziarie. Il dibattito sulla definizione di “rurale” non si è limitato alla letteratura accademica, ma ha dato origine anche a diversi filoni di indagine sviluppati in sede istituzionale. Grazie all’impulso dato dall’Unione Europea in questo contesto, l’identificazione del rurale è divenuta infatti una questione rilevante anche politicamente, nel senso che essa è necessaria come base per formulare politiche di sviluppo specifiche ed individuare le zone destinatarie degli interventi. La geografia assume, in questo scenario, un ruolo di importanza crescente al fine di dedicare indagini e riflessioni ai “territori spezzati”, in modo da esplorare e interrogare i territori rurali in tutti i loro aspetti di natura fisica e antropica, nonché relazionale e dinamica [Jánica e Palumbo 2019]. In tale prospettiva, le aree rurali in transizione occupano una marginalità che riporta in luce ambiti periferici pro-attivi; le periferie costituiscono, spesso, contesti di innovazione e trasformazione, ecosistemi fertili per sviluppare progetti trasversali ai settori. Essi rappresentano luoghi d’elezione in cui osservare l’azione di partnership inedite tra associazioni, gruppi informali, imprese sociali, enti locali, cittadini [Cau 2016]. Ai processi di spopolamento, rarefazione di servizi, impoverimento del tessuto sociale, indubbiamente estesi e comuni a molte aree periferiche italiane ed europee, soprattutto meno prossime rispetto ai centri urbani, fanno da contraltare comunità motivate, organizzate e focalizzate su medesimi obiettivi di ripresa, che leggono nelle fasi post Covid-19 opportunità e occasioni di rilancio [Cois e Pacetti, 2020]. Processi di riappropriazione e rilettura di quelli che vengono riconosciuti come beni comuni e identitari [SSG 2016] passano attraverso esperienze diversificate e basate sull’adozione di strumenti diversi, talvolta integrati tra loro, che vanno dalle mappe alle cooperative di comunità, dagli ecomusei alle passeggiate comunitarie, dai festival alle rassegne cinematografiche o musicali rurali. Ad essi si aggiungono, in una logica di nuova vivibilità dei borghi e delle aree interne come condizioni per nuove cittadinanze, innesti e proposte volte a un ricorso ragionato alla tecnologia per l’offerta di servizi alla persona (es. servizi di prossimità, sicurezza, telemedicina, orientati agli abitanti così come ai visitatori o a coloro che provengono dall’esterno). Le aree rurali sono, infatti, esposte a flussi di mobilità di risorse e di persone che ne modificano le traiettorie e rimescolano strati sociali (abitanti locali, migranti, nuovi contadini, abitanti di seconde case, turisti, nomadi digitali, ecc.) diversi per ceti ed età; dalla possibilità di scambiare informazioni e di stabilire inedite alleanze nascono progetti partecipati e condivisi interessanti. Queste dinamiche hanno investito anche le Alpi, in cui si possono trovare esempi e casi che possono divenire un riferimento, s-oggettivo, di analisi e codifica dell’approccio partecipato [Cerutti 2019]. In questa cornice, il capitolo si propone di narrare vicende, obiettivi ed esiti di tre differenti progettualità portate avanti nelle montagne liguri e piemontesi, mettendo in evidenza i diversi strumenti impiegati, con forza, unione e lungimiranza, dalle comunità che vivono e operano in tali contesti. Obiettivo del capitolo quello di porre in evidenza come la “logica rodariana”, intesa quale “grammatica” di creatività progettuale partecipata, possa essere adottata come filtro metodologico qualitativo per analizzare tali iniziative e per raggiungere due obiettivi fondamentali: scovare, lungo i perimetri e dentro le stesse aree marginali le spinte e le energie di rinascita/ripartenza; individuare approcci e strumenti replicabili in contesti analoghi, in cui le comunità siano i protagonisti di una narrazione viva e vitale. L’esplicazione del titolo e l’adozione del un punto di vista “rodariano” consentono di trarre alcune (non) conclusioni – presentate nell’ultimo paragrafo – e di rimarcare la necessità di nominare e ri-nominare risorse e idee per mantenere in vita piccoli comuni e territori alpini, densi di storie e geografie mutevoli, co-creative, collettive e affascinanti.
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