Il contributo si prefigge di analizzare i profili di interazione della disciplina tp con il regime di imputazione per trasparenza del reddito delle imprese estere controllate. Dall’analisi svolta dei più recenti sviluppi normativi emerge una sempre più accentuata convergenza tra la disciplina cfc e quella sui prezzi di trasferimento, che impone di essere attentamente meditata, al fine di preservare l’autonomo ruolo e valenza di ciascuno strumento. Ferma, infatti, la condivisa funzione di contrasto a fenomeni di drenaggio fiscale, la normativa cfc non può essere considerata quale misura “sostitutiva” delle regole sul transfer pricing, e viceversa, queste ultime non possono essere considerate pienamente fungibili alla prima, trattandosi di discipline che operano su differenti piani e con diversa intensità. Anzitutto la cfc, anche se strutturata nell’approccio totalizzante non esautora comunque la disciplina sui prezzi di trasferimento dalla sua funzione. Il primo regime, infatti, presenta un ambito applicativo ristretto al c.d. control group, con riferimento alle transazioni riferite al più limitato contesto verticale socio di maggioranza- società partecipata, laddove la portata applicativa del tp è evidentemente più ampia. Differente è anche la natura e finalità delle due normative, in quanto il tp è volto a contrastare qualsivoglia riduzione della base imponibile, a prescindere dalla “causa” sottesa all’alterazione dei prezzi infragruppo, che può essere anche diversa da quella di risparmio d’imposta, come ad esempio nel caso in cui si intenda “migliorare” le performance di taluna società o influenzarne il credit rating . Il transfer pricing opera, infatti, quale norma di diritto sostanziale prevedendo, al verificarsi dei presupposti di applicabilità, un criterio inderogabile di valutazione delle operazioni infragruppo, senza contemplare alcuna possibilità, per il contribuente, di ottenerne la disapplicazione, facoltà, viceversa, prevista in relazione alle discipline con finalità antiabuso. Per contro, la disciplina cfc presenta una ontologica finalità antiabuso, volta a contrastare la delocalizzazione di redditi attuata avendo riguardo all’obiettivo fiscale perseguito dal socio residente. Le due normative, pur rispondendo alla comune finalità di contrastare la deviazione di profitti dal “giusto” ordinamento, hanno diversa natura e esito applicativo, che, da un lato, ne preserva l’autonomo ruolo nell’ordinamento e, dall’altro, ben spiega i plurimi profili di reciproca interazione.

Le interazioni tra il transfer pricing e la disciplina cfc

Ballancin
2024-01-01

Abstract

Il contributo si prefigge di analizzare i profili di interazione della disciplina tp con il regime di imputazione per trasparenza del reddito delle imprese estere controllate. Dall’analisi svolta dei più recenti sviluppi normativi emerge una sempre più accentuata convergenza tra la disciplina cfc e quella sui prezzi di trasferimento, che impone di essere attentamente meditata, al fine di preservare l’autonomo ruolo e valenza di ciascuno strumento. Ferma, infatti, la condivisa funzione di contrasto a fenomeni di drenaggio fiscale, la normativa cfc non può essere considerata quale misura “sostitutiva” delle regole sul transfer pricing, e viceversa, queste ultime non possono essere considerate pienamente fungibili alla prima, trattandosi di discipline che operano su differenti piani e con diversa intensità. Anzitutto la cfc, anche se strutturata nell’approccio totalizzante non esautora comunque la disciplina sui prezzi di trasferimento dalla sua funzione. Il primo regime, infatti, presenta un ambito applicativo ristretto al c.d. control group, con riferimento alle transazioni riferite al più limitato contesto verticale socio di maggioranza- società partecipata, laddove la portata applicativa del tp è evidentemente più ampia. Differente è anche la natura e finalità delle due normative, in quanto il tp è volto a contrastare qualsivoglia riduzione della base imponibile, a prescindere dalla “causa” sottesa all’alterazione dei prezzi infragruppo, che può essere anche diversa da quella di risparmio d’imposta, come ad esempio nel caso in cui si intenda “migliorare” le performance di taluna società o influenzarne il credit rating . Il transfer pricing opera, infatti, quale norma di diritto sostanziale prevedendo, al verificarsi dei presupposti di applicabilità, un criterio inderogabile di valutazione delle operazioni infragruppo, senza contemplare alcuna possibilità, per il contribuente, di ottenerne la disapplicazione, facoltà, viceversa, prevista in relazione alle discipline con finalità antiabuso. Per contro, la disciplina cfc presenta una ontologica finalità antiabuso, volta a contrastare la delocalizzazione di redditi attuata avendo riguardo all’obiettivo fiscale perseguito dal socio residente. Le due normative, pur rispondendo alla comune finalità di contrastare la deviazione di profitti dal “giusto” ordinamento, hanno diversa natura e esito applicativo, che, da un lato, ne preserva l’autonomo ruolo nell’ordinamento e, dall’altro, ben spiega i plurimi profili di reciproca interazione.
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