Una recente sentenza di Corte d’Assise ha statuito sulla responsabilità penale di una donna da tempo vittima di maltrattamenti che, al termine di un’ultima condotta vessatoria, decise di cagionare la morte del marito approfittando del sonno dello stesso. La donna è stata condannata a quattro anni e dieci mesi di reclusione, ma ciò che interessa è, in particolare, la qualificazione giuridica del fatto: omicidio colposo. Una condanna per omicidio doloso aggravato dalla relazione del coniuge ex art. 577, c.p., infatti, avrebbe comportato una pena minima computata in 21 anni di reclusione. Ritenuta sproporzionata una simile risposta sanzionatoria, ed esclusa l’applicabilità dell’art. 52, c.p., in materia di legittima difesa, la Corte ha ritenuto che la condizione psicologica della donna, frutto dei maltrattamenti subiti negli anni, l’abbia fatta cadere nell’errata convinzione di versare in un pericolo attuale respingibile solo attraverso una condotta omicidiaria. Così evocata la disciplina della scriminante putativa, ex art. 59, co. 4, c.p., il collegio ha ritenuto detto errore colpevole, qualificando dunque il fatto dell’imputata come omicidio colposo. La compatibilità della disciplina sulla legittima difesa (putativa) con l’ipotesi della donna maltrattata, che cagioni la morte del marito approfittando di un momento di vulnerabilità, nonché la proporzionalità in astratto della pena prevista per l’omicidio doloso del coniuge sono, in questa sede, le principali questioni approfondite.

L’omicidio del coniuge maltrattante: tra legittima difesa (putativa) e proporzionalità della pena in astratto

Riccardo Battistoni
Primo
2023-01-01

Abstract

Una recente sentenza di Corte d’Assise ha statuito sulla responsabilità penale di una donna da tempo vittima di maltrattamenti che, al termine di un’ultima condotta vessatoria, decise di cagionare la morte del marito approfittando del sonno dello stesso. La donna è stata condannata a quattro anni e dieci mesi di reclusione, ma ciò che interessa è, in particolare, la qualificazione giuridica del fatto: omicidio colposo. Una condanna per omicidio doloso aggravato dalla relazione del coniuge ex art. 577, c.p., infatti, avrebbe comportato una pena minima computata in 21 anni di reclusione. Ritenuta sproporzionata una simile risposta sanzionatoria, ed esclusa l’applicabilità dell’art. 52, c.p., in materia di legittima difesa, la Corte ha ritenuto che la condizione psicologica della donna, frutto dei maltrattamenti subiti negli anni, l’abbia fatta cadere nell’errata convinzione di versare in un pericolo attuale respingibile solo attraverso una condotta omicidiaria. Così evocata la disciplina della scriminante putativa, ex art. 59, co. 4, c.p., il collegio ha ritenuto detto errore colpevole, qualificando dunque il fatto dell’imputata come omicidio colposo. La compatibilità della disciplina sulla legittima difesa (putativa) con l’ipotesi della donna maltrattata, che cagioni la morte del marito approfittando di un momento di vulnerabilità, nonché la proporzionalità in astratto della pena prevista per l’omicidio doloso del coniuge sono, in questa sede, le principali questioni approfondite.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11579/162282
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