Il presente contributo si occupa della traduzione arabo-latina medievale della Metafisica di Aristotele, quella che fu chiamata Metaphysica Nova (così anche qui in seguito, a prescindere dalla varietà di denominazioni attestate al riguardo), e che più di recente è stata chiamata anche Translatio Scoti. Fra le traduzioni della Metafisica, questa – solidamente identificabile al di là degli aggiustamenti editoriali cui la sottopose nel tempo lo zelo incessante dei curatori – è la principale, in più sensi. Lo è infatti, sia dal punto di vista del suo impatto complessivo che dal punto di vista documentario. Su quest’ultimo si vuole oggi insistere. Il suo ruolo nella ricostruzione della storia testuale della Metafisica merita infatti di essere delucidato e giustificato, come modello esemplare di mediazione linguistica e come esito fruttuoso di quel dialogo interculturale del cui studio è stato precoce maestro Mauro Zonta: alla sua memoria è dedicato anche questo nostro modico intervento. Questa nota fa parte peraltro di uno studio sulle stampe latine della Metafisica di Aristotele fra XV e XVI secolo, un fenomeno che ebbe un ingente impatto sulla cultura europea, tuttavia raramente investigato in modo sistematico. Il compimento maggiore di questo processo è il volume VIII della monumentale opera editoriale Aristotelis Stagiritae omnia quae extant opera. Averrois Cordubensis commentarii, Venetiis apud Iunctas stampato due volte in modo alquanto simile nel 1552 e nel 1562. Queste due sono in effetti le edizioni più importanti dell’Aristotele latino nel XVI secolo, entrambe stampate a Venezia dall’editore Giunta. Per i motivi che vedremo, pur molto simili, meritano considerazione separata.

La versione latina di Ciriaco Strozzi da Metaphysica Theta 6, 1048b18-35 e le sue fonti greche

Silvia Fazzo
2022-01-01

Abstract

Il presente contributo si occupa della traduzione arabo-latina medievale della Metafisica di Aristotele, quella che fu chiamata Metaphysica Nova (così anche qui in seguito, a prescindere dalla varietà di denominazioni attestate al riguardo), e che più di recente è stata chiamata anche Translatio Scoti. Fra le traduzioni della Metafisica, questa – solidamente identificabile al di là degli aggiustamenti editoriali cui la sottopose nel tempo lo zelo incessante dei curatori – è la principale, in più sensi. Lo è infatti, sia dal punto di vista del suo impatto complessivo che dal punto di vista documentario. Su quest’ultimo si vuole oggi insistere. Il suo ruolo nella ricostruzione della storia testuale della Metafisica merita infatti di essere delucidato e giustificato, come modello esemplare di mediazione linguistica e come esito fruttuoso di quel dialogo interculturale del cui studio è stato precoce maestro Mauro Zonta: alla sua memoria è dedicato anche questo nostro modico intervento. Questa nota fa parte peraltro di uno studio sulle stampe latine della Metafisica di Aristotele fra XV e XVI secolo, un fenomeno che ebbe un ingente impatto sulla cultura europea, tuttavia raramente investigato in modo sistematico. Il compimento maggiore di questo processo è il volume VIII della monumentale opera editoriale Aristotelis Stagiritae omnia quae extant opera. Averrois Cordubensis commentarii, Venetiis apud Iunctas stampato due volte in modo alquanto simile nel 1552 e nel 1562. Queste due sono in effetti le edizioni più importanti dell’Aristotele latino nel XVI secolo, entrambe stampate a Venezia dall’editore Giunta. Per i motivi che vedremo, pur molto simili, meritano considerazione separata.
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