Il libro individua nel pensiero di Simone Weil le linee portanti di un progetto di decostruzione religiosa della soggettività moderna, che si presenta come demistificazione e disvelamento degli inganni sui quali essa si è costituita e rafforzata. Ed è proprio dal concetto di forza che prende avvio la disamina del primo saggio (Dinamiche dell’inganno nel soggetto della modernità), che segue il processo con il quale il soggetto moderno si origina, fondandosi sul potere e su un lessico di violenza e d’imperio: autoproclamandosi altro dalla natura, l’io vi si rapporta dominandola; schema che, dal piano naturale, viene poi replicato a livello socio-politico, poiché il dominio dell’uomo sull’uomo è retto dalla stessa logica che incatena. Ma l’esercizio della forza non è che illusione e (auto)inganno: la forza è un meccanismo, in quanto tale incontrollabile; inoltre, il suo esercizio, nato con l’intento di liberarsi da una necessità esterna, genera a sua volta un’altra costrizione: un feticcio o un idolo di libertà. Si configura così l’origine da cui la forza trae la sua forza: il libero arbitrio che produce l’illusione di una potenza che il soggetto padroneggia, essendone in realtà assoggettato. Rispetto all’arbitrarietà illimitata, la lezione del limite impartita dalla natura impone una necessità, nella cui ubbidienza liberarsi da quella schiavitù che si definiva, ingannevolmente, libertà. Rispetto al fascino ipnotico della forza, occorre rivolgersi a ciò che è privo di forza e non toccato dalla forza: l’amore, che apre a una relazione estranea alla logica del dominio. Il tema politico incrocia le riflessioni proposte nel secondo saggio (Il sacro e la polis), dove l’analisi s’incentra sul rapporto simbolo-idolo. Sono qui discusse alcune delle tesi weiliane più celebri, che attribuiscono la sacralità non alla persona né alla collettività, ma alla tutela del movimento dell’essere umano verso il bene, che può illuminare la via a un concreto agire mondano. Questo contro un’idea di nazione che assolutizza il collettivo, idolatrando il popolo, e che appiattisce il trascendente sull’immanenza, annullando quella distanza che ne preserva la vitalità. Qui vengono messe in discussione le interpretazioni che attribuiscono al progetto politico weiliano derive teocratiche o etocratiche da un lato, o tendenze paternalistico-autoritarie dall’altro. Il tema del sacro e del bene viene approfondito in chiave teologica nel terzo saggio (L’arbre qui se couvre de fleurs), in cui il tema del peccato originale incrocia la questione del libero arbitro e il nesso libertà-limite-necessità, mettendone a fuoco nuove sfumature. L’atto di forza che trae origine da una forzatura del limite si configura ora sotto la categoria del peccato, espressa nell’episodio edenico contenuto in Genesi. Da questa lettura prende avvio una riflessione non altrettanto tradizionale: la tentazione diabolica – «sarete come Dio» – è letteralmente per-versione, che non inganna tanto circa la promessa, quanto sulle modalità con cui realizzarla: per assomigliare a Dio non bisogna infatti agire in vista di un’acquisizione di potere, ma riflettendo l’atto decreativo mediante cui il Creatore ha dato origine al mondo. Influenzata da alcune correnti cabalistiche (Tzimtzum), Weil concepisce nel ritrarsi chenotico di Dio il modello ispiratore cui l’azione umana deve rifarsi per aspirare a quella somiglianza divina che la tentazione del serpente ha deviato in direzione di una logica di potenza e di dominio. Questa la chiave a partire da cui l’ultimo saggio (Sradicamento e decostruzione religiosa del soggetto moderno) introduce la tematica dell’“impersonale” weiliano: distinguendo uno sradicamento “dal di fuori”, frutto di un’azione esterna e violenta, da uno sradicamento “dal di dentro”, che depotenzia l’io senza distruggerlo, diviene possibile per l’essere umano radicarsi in un bene più reale dell’essere. Tornano i temi del ritrarsi, di un lasciar-spazio all’avvento del bene, unica fonte del sacro, che costituisce il centro decentrato di un soggetto che ha rinunciato alla propria assolutezza. Simone Weil rintraccia nella religiosità autentica - che è spiritualità concreta, vissuta e praticata - quella logica paradossale in grado di destabilizzare ogni forma di potere umano e di contrastare la sua tendenza a occupare il centro della realtà. Ciò mostra la valenza decostruttiva di una categoria – quella del religioso, appunto – troppo spesso superficialmente declassata a subire l’analisi decostruttiva piuttosto che a ispirarla. Nel processo decostruttivo di una soggettiva ipertrofica resta aperta la possibilità, inadempiuta e in attesa, del suo autentico legame con il soprannaturale. Ne risulta una comprensione diversa della storia della soggettività e quindi delle sue potenzialità: un percorso alternativo di rigenerazione, per un'altra storia che non cessa di confluire, intrecciandosi, nella prima.

Simone Weil. Per una decostruzione religiosa del soggetto moderno

Iolanda Poma
2022-01-01

Abstract

Il libro individua nel pensiero di Simone Weil le linee portanti di un progetto di decostruzione religiosa della soggettività moderna, che si presenta come demistificazione e disvelamento degli inganni sui quali essa si è costituita e rafforzata. Ed è proprio dal concetto di forza che prende avvio la disamina del primo saggio (Dinamiche dell’inganno nel soggetto della modernità), che segue il processo con il quale il soggetto moderno si origina, fondandosi sul potere e su un lessico di violenza e d’imperio: autoproclamandosi altro dalla natura, l’io vi si rapporta dominandola; schema che, dal piano naturale, viene poi replicato a livello socio-politico, poiché il dominio dell’uomo sull’uomo è retto dalla stessa logica che incatena. Ma l’esercizio della forza non è che illusione e (auto)inganno: la forza è un meccanismo, in quanto tale incontrollabile; inoltre, il suo esercizio, nato con l’intento di liberarsi da una necessità esterna, genera a sua volta un’altra costrizione: un feticcio o un idolo di libertà. Si configura così l’origine da cui la forza trae la sua forza: il libero arbitrio che produce l’illusione di una potenza che il soggetto padroneggia, essendone in realtà assoggettato. Rispetto all’arbitrarietà illimitata, la lezione del limite impartita dalla natura impone una necessità, nella cui ubbidienza liberarsi da quella schiavitù che si definiva, ingannevolmente, libertà. Rispetto al fascino ipnotico della forza, occorre rivolgersi a ciò che è privo di forza e non toccato dalla forza: l’amore, che apre a una relazione estranea alla logica del dominio. Il tema politico incrocia le riflessioni proposte nel secondo saggio (Il sacro e la polis), dove l’analisi s’incentra sul rapporto simbolo-idolo. Sono qui discusse alcune delle tesi weiliane più celebri, che attribuiscono la sacralità non alla persona né alla collettività, ma alla tutela del movimento dell’essere umano verso il bene, che può illuminare la via a un concreto agire mondano. Questo contro un’idea di nazione che assolutizza il collettivo, idolatrando il popolo, e che appiattisce il trascendente sull’immanenza, annullando quella distanza che ne preserva la vitalità. Qui vengono messe in discussione le interpretazioni che attribuiscono al progetto politico weiliano derive teocratiche o etocratiche da un lato, o tendenze paternalistico-autoritarie dall’altro. Il tema del sacro e del bene viene approfondito in chiave teologica nel terzo saggio (L’arbre qui se couvre de fleurs), in cui il tema del peccato originale incrocia la questione del libero arbitro e il nesso libertà-limite-necessità, mettendone a fuoco nuove sfumature. L’atto di forza che trae origine da una forzatura del limite si configura ora sotto la categoria del peccato, espressa nell’episodio edenico contenuto in Genesi. Da questa lettura prende avvio una riflessione non altrettanto tradizionale: la tentazione diabolica – «sarete come Dio» – è letteralmente per-versione, che non inganna tanto circa la promessa, quanto sulle modalità con cui realizzarla: per assomigliare a Dio non bisogna infatti agire in vista di un’acquisizione di potere, ma riflettendo l’atto decreativo mediante cui il Creatore ha dato origine al mondo. Influenzata da alcune correnti cabalistiche (Tzimtzum), Weil concepisce nel ritrarsi chenotico di Dio il modello ispiratore cui l’azione umana deve rifarsi per aspirare a quella somiglianza divina che la tentazione del serpente ha deviato in direzione di una logica di potenza e di dominio. Questa la chiave a partire da cui l’ultimo saggio (Sradicamento e decostruzione religiosa del soggetto moderno) introduce la tematica dell’“impersonale” weiliano: distinguendo uno sradicamento “dal di fuori”, frutto di un’azione esterna e violenta, da uno sradicamento “dal di dentro”, che depotenzia l’io senza distruggerlo, diviene possibile per l’essere umano radicarsi in un bene più reale dell’essere. Tornano i temi del ritrarsi, di un lasciar-spazio all’avvento del bene, unica fonte del sacro, che costituisce il centro decentrato di un soggetto che ha rinunciato alla propria assolutezza. Simone Weil rintraccia nella religiosità autentica - che è spiritualità concreta, vissuta e praticata - quella logica paradossale in grado di destabilizzare ogni forma di potere umano e di contrastare la sua tendenza a occupare il centro della realtà. Ciò mostra la valenza decostruttiva di una categoria – quella del religioso, appunto – troppo spesso superficialmente declassata a subire l’analisi decostruttiva piuttosto che a ispirarla. Nel processo decostruttivo di una soggettiva ipertrofica resta aperta la possibilità, inadempiuta e in attesa, del suo autentico legame con il soprannaturale. Ne risulta una comprensione diversa della storia della soggettività e quindi delle sue potenzialità: un percorso alternativo di rigenerazione, per un'altra storia che non cessa di confluire, intrecciandosi, nella prima.
2022
978-88-5759-128-5
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