Si propone un’analisi retorica dell’orazione in italiano dedicata alle Cene sontuose de’ romani che nel 1699 Giambattista Vico pronuncia all’ Accademia Palatina di Medinacoeli di Napoli. Nonostante il carattere minore di questo testo rispetto ad altre prove coeve – pensiamo soprattutto alla I Orazione inaugurale pronunciata da Vico nell’ottobre del 1699 – nonché successive, vale la pena di soffermarcisi non soltanto in vista di una rapida rassegna dei suoi tratti stilistici barocchi, ma anche alla luce dell’“abbozzo”, che il pensatore stava tracciando in quel momento, “di quel disegno sul quale poi egli lavorò una storia ideale eterna sulla quale corrésse la storia universale di tutti i tempi, conducendovi, sopra certe eterne propietà delle cose civili, i surgimenti, stati, decadenze di tutte le nazioni”, come ricorderà nella sua autobiografia. Il tema trattato, l’intreccio delle molteplici fonti e l’evidente risonanza delle lezioni ascoltate a palazzo di Medinacoeli convergono infatti sulla questione della decadenza: decadenza della civiltà romana e, più in sordina, ma con sineddochica sovrapponibilità, decadenza della vita e dei costumi privati e civili. Tra le maglie dell’epidittico si snoda una dissertazione di storia materiale, attenta ai fatti minuti – alla “microstoria” diremmo oggi –, intrisa al contempo di letterarietà sia mediante il mosaico intertestuale sia attraverso la puntigliosa cura dell’ornatus, e, sebbene con delicata nonchalance, non priva di affondi moralistici. Un moralismo in continua tensione con il frequente riferimento dei loci dell’inventio all’attività percettiva: il cibo e gli oggetti ad esso connessi si vedono, si annusano, sono immersi nella musica e nei canti. L’elocutio asseconda la tendenza alla visività confezionando piccole ekphraseis e spingendo spesso il tasto degli altri campi dell’aisthesis: olfatto, udito, e naturalmente palato. Nella polifonia delle fonti esibite o celate, particolarmente notevole è l’accostamento delle due voci tra le più presenti nel testo: Seneca e Petronio, in particolare le pagine della Coena Trimalchionis da cui Vico attinge a piene mani. Di primo acchito dissonanti – l’una tesa all’accorata denuncia degli inani piaceri della vita, l’altra sfacciatamente immersa nella gozzoviglia, queste due voci infine si accordano in un impercettibile, sottilmente dissimulato dall’abile oratore, memento mori. We propose a rhetorical analysis of the oration in Italian dedicated to the “Sumptuous dinners of the Romans” that in 1699 Giambattista Vico delivered at the Palatine Academy of Medinacoeli in Naples. Despite the minor relevance of this text compared to other contemporary proofs - we are thinking above all of the I Inaugural Oration pronounced by Vico in October 1699 - as well as subsequent ones, it is worth dwelling on this oration not only in view of a quick review of its stylistic baroque features but also in the light of the "sketch" that he was drawing at that moment, "of that design on which he then worked of an eternal ideal history of all times, on which the universal history of all times would run, leading, over certain eternal properties of civil things, the changes, states, declines of all nations”, as he recalled in his autobiography. The treated theme, the intertwining of multiple sources, and the evident resonance of the lessons heard by Vico at the palace of Medinacoeli converge on the question of decadence: the decadence of Roman civilization and, with syneddochic superimposition, the decadence of life and customs private and civil. A dissertation of material history unfolds between the meshes of the epidiptic, attentive to minute facts - to the "micro-history" we would say today -, at the same time imbued with literariness both through the intertextual mosaic and through the meticulous care of the ornatus, and, although with delicate nonchalance, not without moralistic thrusts. A moralism in constant tension with the frequent reference of the loci of inventio to the perceptive activity: food and objects connected to it can be seen, smelled, immersed in music and songs. The elocutio favors the tendency to visualize by creating small ekphraseis and often pushing the button of the other fields of the aisthesis: smell, hearing, and of course the palate. In the polyphony of the exhibited or hidden sources, the combination of the two voices most present in the text is particularly noteworthy: Seneca and Petronius, in particular the pages of the Coena Trimalchionis from which Vico draws heavily. At first glance dissonant - one tense at the heartfelt denunciation of the inane pleasures of life, the other brazenly immersed in revelry, these two voices finally agree in an imperceptible, subtly disguised by the skilled speaker, memento mori.

“Guatate, gola ingegnosa.’ Sinestesie e paradoxon in Delle cene sontuose de’ romani

Stefania Sini
Primo
2021-01-01

Abstract

Si propone un’analisi retorica dell’orazione in italiano dedicata alle Cene sontuose de’ romani che nel 1699 Giambattista Vico pronuncia all’ Accademia Palatina di Medinacoeli di Napoli. Nonostante il carattere minore di questo testo rispetto ad altre prove coeve – pensiamo soprattutto alla I Orazione inaugurale pronunciata da Vico nell’ottobre del 1699 – nonché successive, vale la pena di soffermarcisi non soltanto in vista di una rapida rassegna dei suoi tratti stilistici barocchi, ma anche alla luce dell’“abbozzo”, che il pensatore stava tracciando in quel momento, “di quel disegno sul quale poi egli lavorò una storia ideale eterna sulla quale corrésse la storia universale di tutti i tempi, conducendovi, sopra certe eterne propietà delle cose civili, i surgimenti, stati, decadenze di tutte le nazioni”, come ricorderà nella sua autobiografia. Il tema trattato, l’intreccio delle molteplici fonti e l’evidente risonanza delle lezioni ascoltate a palazzo di Medinacoeli convergono infatti sulla questione della decadenza: decadenza della civiltà romana e, più in sordina, ma con sineddochica sovrapponibilità, decadenza della vita e dei costumi privati e civili. Tra le maglie dell’epidittico si snoda una dissertazione di storia materiale, attenta ai fatti minuti – alla “microstoria” diremmo oggi –, intrisa al contempo di letterarietà sia mediante il mosaico intertestuale sia attraverso la puntigliosa cura dell’ornatus, e, sebbene con delicata nonchalance, non priva di affondi moralistici. Un moralismo in continua tensione con il frequente riferimento dei loci dell’inventio all’attività percettiva: il cibo e gli oggetti ad esso connessi si vedono, si annusano, sono immersi nella musica e nei canti. L’elocutio asseconda la tendenza alla visività confezionando piccole ekphraseis e spingendo spesso il tasto degli altri campi dell’aisthesis: olfatto, udito, e naturalmente palato. Nella polifonia delle fonti esibite o celate, particolarmente notevole è l’accostamento delle due voci tra le più presenti nel testo: Seneca e Petronio, in particolare le pagine della Coena Trimalchionis da cui Vico attinge a piene mani. Di primo acchito dissonanti – l’una tesa all’accorata denuncia degli inani piaceri della vita, l’altra sfacciatamente immersa nella gozzoviglia, queste due voci infine si accordano in un impercettibile, sottilmente dissimulato dall’abile oratore, memento mori. We propose a rhetorical analysis of the oration in Italian dedicated to the “Sumptuous dinners of the Romans” that in 1699 Giambattista Vico delivered at the Palatine Academy of Medinacoeli in Naples. Despite the minor relevance of this text compared to other contemporary proofs - we are thinking above all of the I Inaugural Oration pronounced by Vico in October 1699 - as well as subsequent ones, it is worth dwelling on this oration not only in view of a quick review of its stylistic baroque features but also in the light of the "sketch" that he was drawing at that moment, "of that design on which he then worked of an eternal ideal history of all times, on which the universal history of all times would run, leading, over certain eternal properties of civil things, the changes, states, declines of all nations”, as he recalled in his autobiography. The treated theme, the intertwining of multiple sources, and the evident resonance of the lessons heard by Vico at the palace of Medinacoeli converge on the question of decadence: the decadence of Roman civilization and, with syneddochic superimposition, the decadence of life and customs private and civil. A dissertation of material history unfolds between the meshes of the epidiptic, attentive to minute facts - to the "micro-history" we would say today -, at the same time imbued with literariness both through the intertextual mosaic and through the meticulous care of the ornatus, and, although with delicate nonchalance, not without moralistic thrusts. A moralism in constant tension with the frequent reference of the loci of inventio to the perceptive activity: food and objects connected to it can be seen, smelled, immersed in music and songs. The elocutio favors the tendency to visualize by creating small ekphraseis and often pushing the button of the other fields of the aisthesis: smell, hearing, and of course the palate. In the polyphony of the exhibited or hidden sources, the combination of the two voices most present in the text is particularly noteworthy: Seneca and Petronius, in particular the pages of the Coena Trimalchionis from which Vico draws heavily. At first glance dissonant - one tense at the heartfelt denunciation of the inane pleasures of life, the other brazenly immersed in revelry, these two voices finally agree in an imperceptible, subtly disguised by the skilled speaker, memento mori.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11579/128048
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