Il saggio ricostruisce l’attività di Filippino Lippi (1457-1504), come ritrattista, nella Firenze degli anni settanta, ottanta a novanta del Quindicesimo secolo. L’indagine riguarda prevalentemente la ritrattistica individuale, prendendo tuttavia le mosse dalla cruciale esperienza del Lippi nella Cappella Brancacci della chiesa fiorentina del Carmine, dove il confronto con l’opera ritrattistica di Masaccio impose al pittore ‒ all’inizio degli anni ottanta poco più che ventenne ‒, un’accelerazione ed una rapida maturazione che lo portò ad essere, in questi fondamentali decenni del primo Rinascimento, uno dei rinnovatori del genere della ritrattistica collettiva e civica e di quella individuale. L’esperienza compiuta nello strettissimo dialogo con Masaccio nella Cappella Brancacci rafforzò perciò l’identità del Lippi come ritrattista, redendola ben distinta e distinguibile da quella di Sandro Botticelli, pittore e maestro al quale Filippino era stato vicino nel corso degli anni settanta. Il saggio dimostra che, anche in questo decennio che precede la Brancacci, il pittore dovette dar prova di grandi capacità come ritrattista e che la sue abilità in questo campo dovevano già essere emerse ed essere stata riconosciute, valendogli come decisivo elemento di presentazione proprio nell’ottenimento dell’incarico per il completamento dei lavori nella cappella, come si riscontra nei ritratti giovanili quale quello di giovane oggi custodito presso la National Gallery of Art di Washington (inv. n. 1937.I.20). Nel corso degli anni ottanta si scalano una serie di opere che costituiscono i capisaldi del catalogo di Filippino come ritrattista, dal ‘Ritratto di giovane’ del Louvre (inv. n. R.F. 323), già attribuito a Sandro Botticelli, ombroso e vicinissimo alla teste della Brancacci, l’ormai linguisticamente maturo ‘Ritratto di Musico’ di Dublino, il ‘Doppio ritratto’ di Denver con l’autoritratto del pittore accanto al suo amico e committente Piero del Pugliese. Confermata da alcuni fogli con disegni, cioè studi di teste di grandissima qualità e intensità, celebrata da umanisti e poeti, ricordata da Giorgio Vasari, la bravura di Filippino Lippi come ritrattista è un aspetto della sua attività rimasta sino ad oggi in ombra e che il saggio vuole riportare alla luce, all’interno della più complessa articolazione della storia della nascita e dello sviluppo del ritratto moderno nella Firenze e nell’Italia del Rinascimento.
'... Di naturale tanto bene che non pare che gli manchi se non la parola.' Filippino Lippi pittore di ritratti.
ZAMBRANO, Patrizia
2020-01-01
Abstract
Il saggio ricostruisce l’attività di Filippino Lippi (1457-1504), come ritrattista, nella Firenze degli anni settanta, ottanta a novanta del Quindicesimo secolo. L’indagine riguarda prevalentemente la ritrattistica individuale, prendendo tuttavia le mosse dalla cruciale esperienza del Lippi nella Cappella Brancacci della chiesa fiorentina del Carmine, dove il confronto con l’opera ritrattistica di Masaccio impose al pittore ‒ all’inizio degli anni ottanta poco più che ventenne ‒, un’accelerazione ed una rapida maturazione che lo portò ad essere, in questi fondamentali decenni del primo Rinascimento, uno dei rinnovatori del genere della ritrattistica collettiva e civica e di quella individuale. L’esperienza compiuta nello strettissimo dialogo con Masaccio nella Cappella Brancacci rafforzò perciò l’identità del Lippi come ritrattista, redendola ben distinta e distinguibile da quella di Sandro Botticelli, pittore e maestro al quale Filippino era stato vicino nel corso degli anni settanta. Il saggio dimostra che, anche in questo decennio che precede la Brancacci, il pittore dovette dar prova di grandi capacità come ritrattista e che la sue abilità in questo campo dovevano già essere emerse ed essere stata riconosciute, valendogli come decisivo elemento di presentazione proprio nell’ottenimento dell’incarico per il completamento dei lavori nella cappella, come si riscontra nei ritratti giovanili quale quello di giovane oggi custodito presso la National Gallery of Art di Washington (inv. n. 1937.I.20). Nel corso degli anni ottanta si scalano una serie di opere che costituiscono i capisaldi del catalogo di Filippino come ritrattista, dal ‘Ritratto di giovane’ del Louvre (inv. n. R.F. 323), già attribuito a Sandro Botticelli, ombroso e vicinissimo alla teste della Brancacci, l’ormai linguisticamente maturo ‘Ritratto di Musico’ di Dublino, il ‘Doppio ritratto’ di Denver con l’autoritratto del pittore accanto al suo amico e committente Piero del Pugliese. Confermata da alcuni fogli con disegni, cioè studi di teste di grandissima qualità e intensità, celebrata da umanisti e poeti, ricordata da Giorgio Vasari, la bravura di Filippino Lippi come ritrattista è un aspetto della sua attività rimasta sino ad oggi in ombra e che il saggio vuole riportare alla luce, all’interno della più complessa articolazione della storia della nascita e dello sviluppo del ritratto moderno nella Firenze e nell’Italia del Rinascimento.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.