Nell’articolo si studia a fondo la storia della cappella della Maddalena nella Chiesa della SS. Trinità dei Monti a Roma, concessa verso il 1520 a una cortigiana – verosimilmente Lucrezia Scannatoria, presto fatta oggetto di un’autentica damnatio memoriae – e nel 1537 passata al patronato della famiglia Massimi nella persona di Pietro di Domenico. Oltre a riesaminare i documenti d’archivio relativi alla seconda concessione, sulla scorta di tutta la documentazione testuale e figurativa disponibile e ripercorrendo l’intera letteratura critica antica e moderna si formula una proposta di ricostruzione della decorazione a fresco quasi interamente perduta nel 1800, che fu condotta in due fasi successive rispettivamente a opera di Giulio Romano e Giovan Francesco Penni, per quanto riguarda la pala d’altare, la volta e le lunette sopra la cornice, e di Perin del Vaga per quanto riguarda le pareti laterali; fasi risalenti la prima al 1522 circa e al 1538-1539 la seconda. Tra l’altro si individuano due incisioni riproducenti due frammenti degli affreschi di Giulio Romano e Penni, andati smarriti in Francia dopo la metà del XIX secolo, e si dimostra che l’originaria pala d’altare con il Noli me tangere, irrimediabimente danneggiata e anzi resa irriconoscibile a seguito di uno sciagurato restauro di Palmaroli all’inizio dell’Ottocento, è in realtà quella tuttora sull’altare della cappella, smentendo ogni ipotesi relativa alla copia antica conservata nel Museo del Prado.

Un'altra "lettera rubata". La decorazione della cappella di S. Maria Maddalena nella SS. Trinità dei Monti e il vero Noli me tangere di Giulio Romano e Giovan Francesco Penni

VANNUGLI, Antonio
2005-01-01

Abstract

Nell’articolo si studia a fondo la storia della cappella della Maddalena nella Chiesa della SS. Trinità dei Monti a Roma, concessa verso il 1520 a una cortigiana – verosimilmente Lucrezia Scannatoria, presto fatta oggetto di un’autentica damnatio memoriae – e nel 1537 passata al patronato della famiglia Massimi nella persona di Pietro di Domenico. Oltre a riesaminare i documenti d’archivio relativi alla seconda concessione, sulla scorta di tutta la documentazione testuale e figurativa disponibile e ripercorrendo l’intera letteratura critica antica e moderna si formula una proposta di ricostruzione della decorazione a fresco quasi interamente perduta nel 1800, che fu condotta in due fasi successive rispettivamente a opera di Giulio Romano e Giovan Francesco Penni, per quanto riguarda la pala d’altare, la volta e le lunette sopra la cornice, e di Perin del Vaga per quanto riguarda le pareti laterali; fasi risalenti la prima al 1522 circa e al 1538-1539 la seconda. Tra l’altro si individuano due incisioni riproducenti due frammenti degli affreschi di Giulio Romano e Penni, andati smarriti in Francia dopo la metà del XIX secolo, e si dimostra che l’originaria pala d’altare con il Noli me tangere, irrimediabimente danneggiata e anzi resa irriconoscibile a seguito di uno sciagurato restauro di Palmaroli all’inizio dell’Ottocento, è in realtà quella tuttora sull’altare della cappella, smentendo ogni ipotesi relativa alla copia antica conservata nel Museo del Prado.
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