Attestato per la prima volta nel 1092 e attivo sino al XVI secolo, quando l’ente religioso venne convertito in vicaria (1593), il priorato dei Santi Pietro e Paolo di Castelletto Cervo, in diocesi di Vercelli, rappresenta un’emergenza molto significativa nel monachesimo cluniacense italiano, affermatosi con particolare capillarità nell’attuale Lombardia e nel Piemonte orientale. Il monastero rivestì un ruolo non secondario nella presenza dell’Ordine in tale vasta area, anche dal punto di vista economico, essendo dotato di diverse dipendenze e di un patrimonio esteso a livello regionale. Il complesso attuale presenta un buon livello di leggibilità delle strutture medievali, in parte rilevante ancora conservate in elevato, non soltanto in relazione alla chiesa, ben individuabile nel suo impianto romanico, ma – aspetto decisamente più raro – anche in rapporto agli altri edifici che costituivano il nucleo religioso. Inoltre, allagando lo sguardo all’intero mondo cluniacense, esso è uno dei pochi centri in cui si preservi, seppure in parte con modifiche intervenute nel corso dei secoli, la seconda chiesa del monastero, dedicata alla Vergine, e punto focale nella liturgia – soprattutto funeraria e commemorativa – propria all’Ordine. Il sito è stato oggetto di approfondita indagine sin dal 2006, in una prospettiva di ricerca interdisciplinare che ha visto il concorso di specialisti con competenze diverse e in cui la ricerca archeologica, sia sul fronte dello scavo (campagne 2009-2012) che su quello dell’archeologia dell’architettura e dello studio dei materiali, si è integrata con quella archivistica e storico-artistica e si è ampiamente avvalsa di indagini archeometriche, nell'ambito di progetti di ricerca internazionali (Groupement de Recherche Européenne: "Terres cuites architecturales et nouvelles méthodes de datation"), nel cui quadro il monastero è stato oggetto di nuove frontiere di sperimentazione metodologica, in particolare per quanto riguarda le tecniche di datazione dei laterizi, con nuove messe a punto di metodo per termoluminescenza, OSL, archeomagnetismo. Gli esiti delle ricerche presentati in questo volume si pongono nel vivo del dibattito storiografico che investe da un lato l’archeologia dei monasteri, con una specifica attenzione agli aspetti topografico-spaziali e funzionali, dall’altro gli studi sul mondo cluniacense, soprattutto alla luce delle scoperte derivanti dagli scavi condotti a Cluny in anni recenti, che impongono una revisione incisiva delle conoscenze consolidate sull’abbazia borgognona e sull’organizzazione dei suoi spazi (nonché sulla periodizzazione generale delle sue fasi costruttive). Proprio queste nuove acquisizioni inducono anche a riconsiderare sotto una diversa prospettiva l’organizzazione – al tempo stesso architettonica, spaziale e liturgica – delle dipendenze e in particolare dei priorati, che mantennero per secoli uno stretto legame con Cluny, come nel caso di Castelletto, nel tentativo di verificare criticamente l’effettivo grado di adesione al “modello” della casa-madre e le soluzioni di volta in volta individuate per rispondere a specifiche esigenze liturgiche che il monachesimo cluniacense sviluppò. In questo quadro, Castelletto costituisce un laboratorio di primario interesse. Il testo costituisce, infatti, lo studio più completo disponibile su un priorato cluniacense in Italia, ne ricostruisce l'organizzazione e suoi sviluppi nel tempo, ma si interroga parimenti sui rapporti del monastero con l'esterno, a più livelli, dal suo inserimento nel territorio circostante, sino ai suoi rimandi al contesto internazionale, in un quadro in cui la dimensione locale dialoga con quella macroregionale così come con quella transalpina. I risultati del lavoro mostrano nel concreto e con un respiro ad oggi mai sperimentato in Italia e raramente in ambito europeo, le modalità attraverso le quali l'Ordine cluniacense si radicò nella Penisola, con la costituzione di monasteri dipendenti che da un lato sono capaci di incardinarsi in un territorio, di sfruttarne le potenzialità e le risorse, di assorbirne le tradizioni architettoniche, le tecniche costruttive e le soluzioni decorative, dall'altro di aderire a principi innovatori, sul piano liturgico ed ideologico, che portano ad esempio all'adozione della seconda chiesa mariana. Il volume ha un accentuato taglio interdisciplinare, in cui diversi approcci, sul piano scientifico e metodologico, non sono soltanto "accostati", ma messi continuamente in dialogo ai fini della ricostruzione storica a tutto tondo del sito. Questo principio informa anche le scelte nella presentazione dei dati: ad esempio, per ogni edificio o settore del complesso medievale i dati di scavo sono strettamente integrati a quelli derivanti dallo studio stratigrafico delle murature ancora conservate in elevato e alle fonti scritte che menzionano nello specifico la costruzione in oggetto, nell'intento di ricomporre un quadro il più possibile unitario di corpi di fabbrica o aree di cui sussistono oggi elementi frammentati. La prospettiva diacronica adottata, inoltre, mette in evidenza lo sviluppo storico del sito, sulla lunga durata, in maniera innovativa rispetto a molti studi sui monasteri medievali, per lo più concentrati sui secoli prossimi alla fondazione.
Il priorato cluniacense dei Santi Pietro e Paolo a Castelletto Cervo. Scavi e ricerche 2006-2014
DESTEFANIS, ELEONORA
2015-01-01
Abstract
Attestato per la prima volta nel 1092 e attivo sino al XVI secolo, quando l’ente religioso venne convertito in vicaria (1593), il priorato dei Santi Pietro e Paolo di Castelletto Cervo, in diocesi di Vercelli, rappresenta un’emergenza molto significativa nel monachesimo cluniacense italiano, affermatosi con particolare capillarità nell’attuale Lombardia e nel Piemonte orientale. Il monastero rivestì un ruolo non secondario nella presenza dell’Ordine in tale vasta area, anche dal punto di vista economico, essendo dotato di diverse dipendenze e di un patrimonio esteso a livello regionale. Il complesso attuale presenta un buon livello di leggibilità delle strutture medievali, in parte rilevante ancora conservate in elevato, non soltanto in relazione alla chiesa, ben individuabile nel suo impianto romanico, ma – aspetto decisamente più raro – anche in rapporto agli altri edifici che costituivano il nucleo religioso. Inoltre, allagando lo sguardo all’intero mondo cluniacense, esso è uno dei pochi centri in cui si preservi, seppure in parte con modifiche intervenute nel corso dei secoli, la seconda chiesa del monastero, dedicata alla Vergine, e punto focale nella liturgia – soprattutto funeraria e commemorativa – propria all’Ordine. Il sito è stato oggetto di approfondita indagine sin dal 2006, in una prospettiva di ricerca interdisciplinare che ha visto il concorso di specialisti con competenze diverse e in cui la ricerca archeologica, sia sul fronte dello scavo (campagne 2009-2012) che su quello dell’archeologia dell’architettura e dello studio dei materiali, si è integrata con quella archivistica e storico-artistica e si è ampiamente avvalsa di indagini archeometriche, nell'ambito di progetti di ricerca internazionali (Groupement de Recherche Européenne: "Terres cuites architecturales et nouvelles méthodes de datation"), nel cui quadro il monastero è stato oggetto di nuove frontiere di sperimentazione metodologica, in particolare per quanto riguarda le tecniche di datazione dei laterizi, con nuove messe a punto di metodo per termoluminescenza, OSL, archeomagnetismo. Gli esiti delle ricerche presentati in questo volume si pongono nel vivo del dibattito storiografico che investe da un lato l’archeologia dei monasteri, con una specifica attenzione agli aspetti topografico-spaziali e funzionali, dall’altro gli studi sul mondo cluniacense, soprattutto alla luce delle scoperte derivanti dagli scavi condotti a Cluny in anni recenti, che impongono una revisione incisiva delle conoscenze consolidate sull’abbazia borgognona e sull’organizzazione dei suoi spazi (nonché sulla periodizzazione generale delle sue fasi costruttive). Proprio queste nuove acquisizioni inducono anche a riconsiderare sotto una diversa prospettiva l’organizzazione – al tempo stesso architettonica, spaziale e liturgica – delle dipendenze e in particolare dei priorati, che mantennero per secoli uno stretto legame con Cluny, come nel caso di Castelletto, nel tentativo di verificare criticamente l’effettivo grado di adesione al “modello” della casa-madre e le soluzioni di volta in volta individuate per rispondere a specifiche esigenze liturgiche che il monachesimo cluniacense sviluppò. In questo quadro, Castelletto costituisce un laboratorio di primario interesse. Il testo costituisce, infatti, lo studio più completo disponibile su un priorato cluniacense in Italia, ne ricostruisce l'organizzazione e suoi sviluppi nel tempo, ma si interroga parimenti sui rapporti del monastero con l'esterno, a più livelli, dal suo inserimento nel territorio circostante, sino ai suoi rimandi al contesto internazionale, in un quadro in cui la dimensione locale dialoga con quella macroregionale così come con quella transalpina. I risultati del lavoro mostrano nel concreto e con un respiro ad oggi mai sperimentato in Italia e raramente in ambito europeo, le modalità attraverso le quali l'Ordine cluniacense si radicò nella Penisola, con la costituzione di monasteri dipendenti che da un lato sono capaci di incardinarsi in un territorio, di sfruttarne le potenzialità e le risorse, di assorbirne le tradizioni architettoniche, le tecniche costruttive e le soluzioni decorative, dall'altro di aderire a principi innovatori, sul piano liturgico ed ideologico, che portano ad esempio all'adozione della seconda chiesa mariana. Il volume ha un accentuato taglio interdisciplinare, in cui diversi approcci, sul piano scientifico e metodologico, non sono soltanto "accostati", ma messi continuamente in dialogo ai fini della ricostruzione storica a tutto tondo del sito. Questo principio informa anche le scelte nella presentazione dei dati: ad esempio, per ogni edificio o settore del complesso medievale i dati di scavo sono strettamente integrati a quelli derivanti dallo studio stratigrafico delle murature ancora conservate in elevato e alle fonti scritte che menzionano nello specifico la costruzione in oggetto, nell'intento di ricomporre un quadro il più possibile unitario di corpi di fabbrica o aree di cui sussistono oggi elementi frammentati. La prospettiva diacronica adottata, inoltre, mette in evidenza lo sviluppo storico del sito, sulla lunga durata, in maniera innovativa rispetto a molti studi sui monasteri medievali, per lo più concentrati sui secoli prossimi alla fondazione.File | Dimensione | Formato | |
---|---|---|---|
2015_ Il priorato cluniacense.pdf
file disponibile solo agli amministratori
Tipologia:
Versione Editoriale (PDF)
Licenza:
DRM non definito
Dimensione
25.66 MB
Formato
Adobe PDF
|
25.66 MB | Adobe PDF | Visualizza/Apri Richiedi una copia |
I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.