Il contributo tratta del nesso, al tempo stesso topografico, architettonico e funzionale, chiostro-sala capitolare-seconda chiesa, come noto declinato a Cluny in termini fortemente caratteristici, attraverso l'analisi dei priorati cluniacensi nell'Italia settentrionale, ove la situazione si mostra alquanto composita ed in cui il riferimento più o meno marcato all'abbazia borgognona si confronta con specificità e tradizioni costruttive locali. Lo studio tiene conto di un ampio dibattito storiografico in corso su scala europea, inerente il problema (e la verifica) dell'"esportazione del modello Cluny" nella variegata realtà dei priorati appartenenti all'Ordine. Il riesame, attraverso una ripresa sistematica delle fonti scritte nonché cartografiche da un lato e della documentazione archeologica dall'altro, unitamente ai dati di nuova acquisizione e fortemente innovativi, quali quelli derivanti dagli scavi, condotti sotto la direzione scientifica dell'autrice del saggio, presso il priorato di Castelletto Cervo (BI), mostra in termini chiari la complessità del tema e l'impossibilità di individuare tout court un trasferimento puntuale di soluzioni dalla casa-madre alle dipendenze. Queste fanno certamente proprie le esigenze liturgiche e di organizzazione della topografia monastica maturate all'interno dell'Ordine, accogliendone alcuni nessi architettonici connotanti, ma al tempo stesso seguendo traiettorie proprie. Il caso di Castelletto Cervo mostra, in particolare, come l'adozione di alcuni elementi ritenuti tipici dei monasteri cluiniacensi (come la seconda chiesa o l'avancorpo) non avvenga contestualmente, sincronicamente e sin dalla fondazione: questi corpi di fabbrica, certamente "cluniacensi" nella loro posizione relativa e in rapporto all'intero complesso monastico, si configurano tuttavia come il risultato di un'aggregazione progressiva, che si sviluppa su diversi decenni, a riprova di intenzioni progettuali in dinamico mutamento su un arco cronologico anche piuttosto ampio. Lo spazio dell'Italia settentrionale si presenta pertanto come un laboratorio di sperimentazione di primario interesse per comprendere i meccanismi attraverso i quali l'Ordine si costruisce e si afferma in territori anche molto lontani dall'abbazia-madre, come dimostra uno sguardo complessivo su questa macro-regione, in un approccio di approfondita comparazione, ricco di spunti di riflessione per un tema di portata ben più vasta.

L’église Sainte-Marie et le chapitre à Castelletto Cervo et dans les monastères clunisiens de l’Italie du Nord

DESTEFANIS, ELEONORA
2013-01-01

Abstract

Il contributo tratta del nesso, al tempo stesso topografico, architettonico e funzionale, chiostro-sala capitolare-seconda chiesa, come noto declinato a Cluny in termini fortemente caratteristici, attraverso l'analisi dei priorati cluniacensi nell'Italia settentrionale, ove la situazione si mostra alquanto composita ed in cui il riferimento più o meno marcato all'abbazia borgognona si confronta con specificità e tradizioni costruttive locali. Lo studio tiene conto di un ampio dibattito storiografico in corso su scala europea, inerente il problema (e la verifica) dell'"esportazione del modello Cluny" nella variegata realtà dei priorati appartenenti all'Ordine. Il riesame, attraverso una ripresa sistematica delle fonti scritte nonché cartografiche da un lato e della documentazione archeologica dall'altro, unitamente ai dati di nuova acquisizione e fortemente innovativi, quali quelli derivanti dagli scavi, condotti sotto la direzione scientifica dell'autrice del saggio, presso il priorato di Castelletto Cervo (BI), mostra in termini chiari la complessità del tema e l'impossibilità di individuare tout court un trasferimento puntuale di soluzioni dalla casa-madre alle dipendenze. Queste fanno certamente proprie le esigenze liturgiche e di organizzazione della topografia monastica maturate all'interno dell'Ordine, accogliendone alcuni nessi architettonici connotanti, ma al tempo stesso seguendo traiettorie proprie. Il caso di Castelletto Cervo mostra, in particolare, come l'adozione di alcuni elementi ritenuti tipici dei monasteri cluiniacensi (come la seconda chiesa o l'avancorpo) non avvenga contestualmente, sincronicamente e sin dalla fondazione: questi corpi di fabbrica, certamente "cluniacensi" nella loro posizione relativa e in rapporto all'intero complesso monastico, si configurano tuttavia come il risultato di un'aggregazione progressiva, che si sviluppa su diversi decenni, a riprova di intenzioni progettuali in dinamico mutamento su un arco cronologico anche piuttosto ampio. Lo spazio dell'Italia settentrionale si presenta pertanto come un laboratorio di sperimentazione di primario interesse per comprendere i meccanismi attraverso i quali l'Ordine si costruisce e si afferma in territori anche molto lontani dall'abbazia-madre, come dimostra uno sguardo complessivo su questa macro-regione, in un approccio di approfondita comparazione, ricco di spunti di riflessione per un tema di portata ben più vasta.
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