La pronuncia in esame scaturisce da una richiesta d’insinuazione al passivo fallimentare effettuata da un socio avente ad oggetto il credito relativo al valore della quota di liquidazione conseguente al recesso realizzatosi nei confronti della società. Il giudice delegato, nel decreto poi opposto, aveva ritenuto di qualificarlo come “postergato”, con conseguente applicazione analogica dell’art. 2467 c.c., posto che al momento (risalente nel tempo) dello scioglimento del rapporto sociale, la società si sarebbe già trovata in una situazione di significativo squilibrio tra debiti e patrimonio netto, in cui i primi erano ben oltre il doppio del secondo. Tale decreto è stato impugnato dal socio recedente innanzi alla Corte di Cassazione, che, con l’ordinanza n. 30725 depositata il 6.11.2023, ha stabilito che al credito derivante dal recesso del socio non si applica la disciplina sulla postergazione dettata dall’art. 2467 c.c., neppure qualora la società sia successivamente sottoposta a procedura concorsuale e la richiesta di liquidazione della quota, conseguente allo scioglimento del rapporto sociale, sia stata avanzata in sede d’insinuazione al passivo. Nella nota – dopo aver riassunto la motivazione (sfociata in una cassazione con rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo esame della fattispecie), schematizzato i presupposti della postergazione e ricostruito lo stato dell’arte sulla discussa natura del recesso – si cercherà di proporre alcune riflessioni in chiave operativa.

L’ex socio non è postergato, ma ha diritto di voice sulla ristrutturazione trasversale (dei debiti)?

Spiotta, Marina
;
2024-01-01

Abstract

La pronuncia in esame scaturisce da una richiesta d’insinuazione al passivo fallimentare effettuata da un socio avente ad oggetto il credito relativo al valore della quota di liquidazione conseguente al recesso realizzatosi nei confronti della società. Il giudice delegato, nel decreto poi opposto, aveva ritenuto di qualificarlo come “postergato”, con conseguente applicazione analogica dell’art. 2467 c.c., posto che al momento (risalente nel tempo) dello scioglimento del rapporto sociale, la società si sarebbe già trovata in una situazione di significativo squilibrio tra debiti e patrimonio netto, in cui i primi erano ben oltre il doppio del secondo. Tale decreto è stato impugnato dal socio recedente innanzi alla Corte di Cassazione, che, con l’ordinanza n. 30725 depositata il 6.11.2023, ha stabilito che al credito derivante dal recesso del socio non si applica la disciplina sulla postergazione dettata dall’art. 2467 c.c., neppure qualora la società sia successivamente sottoposta a procedura concorsuale e la richiesta di liquidazione della quota, conseguente allo scioglimento del rapporto sociale, sia stata avanzata in sede d’insinuazione al passivo. Nella nota – dopo aver riassunto la motivazione (sfociata in una cassazione con rinvio al Tribunale di Milano per un nuovo esame della fattispecie), schematizzato i presupposti della postergazione e ricostruito lo stato dell’arte sulla discussa natura del recesso – si cercherà di proporre alcune riflessioni in chiave operativa.
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