Negli ultimi tempi si sente sempre più frequentemente parlare di carne coltivata in laboratorio. In effetti la tecnologia in questione dopo circa vent’anni dai primi studi è ormai pronta; alcuni paesi (e.g. Singapore, Israele) ne hanno già autorizzato la commercializzazione mentre antri (e.g. Stati Uniti) si apprestano a farlo. Siamo, dunque, alla vigilia di una nuova possibile rivoluzione industriale che potrebbe cambiare profondamente le nostre abitudini alimentari e, con essa, anche la struttura sociale fondamentale che ha visto nell’agricoltura e nella zootecnia uno dei pilastri su cui è stata edificata la nostra identità culturale e la nostra storia. Oltre a ciò, iniziano a circolare le consuete informazioni allarmistiche sulle conseguenze che questi nuovi prodotti potrebbero avere sulla salute delle persone, dato che la tecnologia in questione sfrutta le cellule staminali animali per farle replicare in bioreattori grazie a sostanze stimolanti. Si intrecciano, dunque, in questo scenario “perfetto” le contrapposizioni generali fra sostenibilità, innovazione tecnologica, tutela della salute delle persone e della struttura sociale attuale. Come in tutti i momenti di “svolta storica” è indispensabile che il cambiamento venga accompagnato (rectius: preceduto) da scelte normative che non devono riflettere le contrapposizioni sociali già esistenti, ma assumere una posizione autorevole, neutrale, basata sulla scienza. In Europa questo “pivotal moment” legislativo è accompagnato dalla difficoltà di individuare quale livello di governance possa, in effetti, essere nelle condizioni migliori per assumere queste decioni, considerato il già complesso quadro regolatorio vigente e i delicati meccanismi di ripartizione di competenze e priorità che reggono l’interazione fra ordinamento dell’Unione europea e ordinamenti nazionali. L’articolo, muovendo da una cornice generale della materia, ricostruisce il quadro regolatorio dei diversi profili giuridicamente rilevanti della produzione e commercializzazione di carne coltivata in laboratorio, per poi analizzare il caso della recentissima legge italiana n. 172/2023 che ne ha vietato la produzione, commercializzazione e somministrazione su tutto il territorio della Repubblica. La norma verrà esaminata tanto nel merito, quanto con riferimento ai suoi profili conflittuali con le fonti Ue già esistenti e alle problematiche procedurali legate all’obbligo di notifica preventiva. Il lavoro si conclude, infine, traendo alcuni insegnamenti da quanto è successo per sollecitare una azione condivisa a livello Ue prima che vengano sottoposti i primi dossier per la valutazione come novel foods e che, di conseguenza, i prodotti si diffondano sul mercato creando le condizioni per un definitivo consolidamento delle contrapposizioni ideologiche già oggi esistenti.

La battaglia della carne coltivata dalle aule parlamentari a quelle di giustizia? Considerazioni a margine della legge 172/2023 fra armonizzazione, leale cooperazione e margini di autonomia degli Stati membri

rubino, V.
2024-01-01

Abstract

Negli ultimi tempi si sente sempre più frequentemente parlare di carne coltivata in laboratorio. In effetti la tecnologia in questione dopo circa vent’anni dai primi studi è ormai pronta; alcuni paesi (e.g. Singapore, Israele) ne hanno già autorizzato la commercializzazione mentre antri (e.g. Stati Uniti) si apprestano a farlo. Siamo, dunque, alla vigilia di una nuova possibile rivoluzione industriale che potrebbe cambiare profondamente le nostre abitudini alimentari e, con essa, anche la struttura sociale fondamentale che ha visto nell’agricoltura e nella zootecnia uno dei pilastri su cui è stata edificata la nostra identità culturale e la nostra storia. Oltre a ciò, iniziano a circolare le consuete informazioni allarmistiche sulle conseguenze che questi nuovi prodotti potrebbero avere sulla salute delle persone, dato che la tecnologia in questione sfrutta le cellule staminali animali per farle replicare in bioreattori grazie a sostanze stimolanti. Si intrecciano, dunque, in questo scenario “perfetto” le contrapposizioni generali fra sostenibilità, innovazione tecnologica, tutela della salute delle persone e della struttura sociale attuale. Come in tutti i momenti di “svolta storica” è indispensabile che il cambiamento venga accompagnato (rectius: preceduto) da scelte normative che non devono riflettere le contrapposizioni sociali già esistenti, ma assumere una posizione autorevole, neutrale, basata sulla scienza. In Europa questo “pivotal moment” legislativo è accompagnato dalla difficoltà di individuare quale livello di governance possa, in effetti, essere nelle condizioni migliori per assumere queste decioni, considerato il già complesso quadro regolatorio vigente e i delicati meccanismi di ripartizione di competenze e priorità che reggono l’interazione fra ordinamento dell’Unione europea e ordinamenti nazionali. L’articolo, muovendo da una cornice generale della materia, ricostruisce il quadro regolatorio dei diversi profili giuridicamente rilevanti della produzione e commercializzazione di carne coltivata in laboratorio, per poi analizzare il caso della recentissima legge italiana n. 172/2023 che ne ha vietato la produzione, commercializzazione e somministrazione su tutto il territorio della Repubblica. La norma verrà esaminata tanto nel merito, quanto con riferimento ai suoi profili conflittuali con le fonti Ue già esistenti e alle problematiche procedurali legate all’obbligo di notifica preventiva. Il lavoro si conclude, infine, traendo alcuni insegnamenti da quanto è successo per sollecitare una azione condivisa a livello Ue prima che vengano sottoposti i primi dossier per la valutazione come novel foods e che, di conseguenza, i prodotti si diffondano sul mercato creando le condizioni per un definitivo consolidamento delle contrapposizioni ideologiche già oggi esistenti.
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