La celebre ordinanza di Cass. 7 aprile 2023, n. 9530 muove, forse in maniera meno nota, dal licenziamento disciplinare di un lavoratore autoferrotranviario. Le «incoerenze» e le «disomogeneità» di una disciplina applicabile quasi centenaria, che sembra aver resistito a qualunque riforma e modificazione, vengono ancora una volta portate all’attenzione dei giudici di legittimità, con inattese conseguenze invero, ben oltre il proprio ambito di applicazione. In particolare, il contributo si concentra sulla evidente tautologia su cui è incentrata la manovra giurisprudenziale: la riconducibilità della violazione delle disposizioni di cui all’art. 53 e 54 R.D. 1931 alle ipotesi di nullità virtuale di protezione, a loro volta riferibili alle ipotesi di nullità di cui all’art. 2, 1° comma d.lgs. 23/2015; assumendo ciò che a ben vedere andrebbe dimostrato. Invocare il regime delle nullità, quale rimedio più idoneo a realizzare l’esigenza di tutela del lavoratore, pare all’autore perseguire la finalità di forzare le logiche interne alla materia; materia che, con il d.lgs. 23/2015, nel ridurre l’ambito della tutela reintegratoria piena, ha attribuito rilievo alla natura del vizio e alle cause di nullità del recesso, mantenendo le distanze dall’azione generale di nullità. Automatiche ed acritiche estensioni della disciplina generale ad opera dei giudici finiscono per produrre una commistione tra tutela speciale e tutela ordinaria delle nullità che non può che alterare gli equilibri di un sistema già sottoposto a dura prova. L’operazione ermeneutica intrapresa dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, con a mente il referente civilistico, sembra così ancora una volta porsi a beneficio di soluzioni predeterminate in un contesto di perdurante «fastidio» nei confronti della riforma dei rimedi ai licenziamenti illegittimi, cui sono seguiti ripetuti tentativi di adeguamento del «diritto che è a quello che si vorrebbe».

Oltre le "apparenze" di Cass. ord. 7 aprile 2023, n. 9530

Santini F.
2024-01-01

Abstract

La celebre ordinanza di Cass. 7 aprile 2023, n. 9530 muove, forse in maniera meno nota, dal licenziamento disciplinare di un lavoratore autoferrotranviario. Le «incoerenze» e le «disomogeneità» di una disciplina applicabile quasi centenaria, che sembra aver resistito a qualunque riforma e modificazione, vengono ancora una volta portate all’attenzione dei giudici di legittimità, con inattese conseguenze invero, ben oltre il proprio ambito di applicazione. In particolare, il contributo si concentra sulla evidente tautologia su cui è incentrata la manovra giurisprudenziale: la riconducibilità della violazione delle disposizioni di cui all’art. 53 e 54 R.D. 1931 alle ipotesi di nullità virtuale di protezione, a loro volta riferibili alle ipotesi di nullità di cui all’art. 2, 1° comma d.lgs. 23/2015; assumendo ciò che a ben vedere andrebbe dimostrato. Invocare il regime delle nullità, quale rimedio più idoneo a realizzare l’esigenza di tutela del lavoratore, pare all’autore perseguire la finalità di forzare le logiche interne alla materia; materia che, con il d.lgs. 23/2015, nel ridurre l’ambito della tutela reintegratoria piena, ha attribuito rilievo alla natura del vizio e alle cause di nullità del recesso, mantenendo le distanze dall’azione generale di nullità. Automatiche ed acritiche estensioni della disciplina generale ad opera dei giudici finiscono per produrre una commistione tra tutela speciale e tutela ordinaria delle nullità che non può che alterare gli equilibri di un sistema già sottoposto a dura prova. L’operazione ermeneutica intrapresa dalla Corte di Cassazione con la sentenza in commento, con a mente il referente civilistico, sembra così ancora una volta porsi a beneficio di soluzioni predeterminate in un contesto di perdurante «fastidio» nei confronti della riforma dei rimedi ai licenziamenti illegittimi, cui sono seguiti ripetuti tentativi di adeguamento del «diritto che è a quello che si vorrebbe».
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