Il consenso ad un atto medico è la consapevole adesione della persona assistita alle decisioni sul trattamento sanitario proposto attraverso un’esauriente informazione sulle sue condizioni di salute e, soprattutto, sulle conseguenze e sui rischi dell’accettare il trattamento stesso, sia esso diagnostico che terapeutico. Nel rapporto con la persona assistita è necessario considerare e tutelare il suo diritto alla salute: ciò implica una chiara e veritiera informazione a partire dalle finalità della visita medica, degli esami strumentali o di laboratorio, nel rispetto della privacy e della dignità della persona stessa, che ha il diritto di rifiutare o revocare nei tempi previsti qualsiasi trattamento, supportata in ciò da quanto definito all’art. 1 della legge 219/2017. Nella gestione sanitaria di una persona che abbia subito una qualsiasi forma di violenza, il consenso all’esame clinico e forense può essere letto non solo come un dovere, ma anche come una scelta terapeutica ed etica per restituire integrità, dignità e rispetto al corpo violato. Il termine “violenza” racchiude infatti il concetto di mancato consenso ad un atto sulla propria persona. La raccolta di materiale biologico a fini clinici e forensi, gli esami strumentali e l’esame obiettivo che può richiedere alla paziente o al paziente di mostrare la sua nudità potrebbero essere vissuti dalla persona assistita come un’ulteriore violenza. Al contrario, è importante comunicare in modo corretto e completo alla persona assistita ogni singolo passaggio diagnostico-terapeutico e la sua specifica finalità, motivando ogni gesto e ottenendo il suo consenso, con pazienza ed empatia. Questo approccio è fondamentale anche per un primo recupero terapeutico di natura psicologica che, in un momento di acuzie come quello di una violenza appena vissuta, potrebbe essere di fondamentale importanza per affrontare e rielaborare l’abuso subito. Ottenere il consenso da un soggetto adulto, capace di intendere e volere non è di difficile gestione; diventa invece più complesso nel caso in cui la persona assistita sia incosciente, minorenne o in qualsiasi altra condizione che comprometta la sua capacità di intendere e di volere. Nel caso di un minore, infatti, la situazione risulta ancora più critica quando il minore stesso riferisce una violenza subita da parte dei genitori o quanto vi sia il sospetto di una violenza vissuta tra le mura domestiche. In questi casi, infatti, il personale sanitario si trova a dover decidere se fornire ai genitori, potenziali abusanti, qualsiasi tipo di informazione medica, che possa - anche indirettamente - arrecare danno al minore. In questi casi, dunque, la responsabilità genitoriale non può prevalere sullo sviluppo dei valori e dell’individualità del minore, ed è in questo equilibrio tra responsabilità genitoriale e tutela dal danno al minore che il personale sanitario può trovare una giustificazione etica alle proprie scelte.

IL CONSENSO INFORMATO NELLA GESTIONE SANITARIA DELLA VIOLENZA DI GENERE: NON SOLO UN ATTO DOVUTO. RISVOLTI ETICI E DEONTOLOGICI

Sarah Gino
;
Federica Collini
2023-01-01

Abstract

Il consenso ad un atto medico è la consapevole adesione della persona assistita alle decisioni sul trattamento sanitario proposto attraverso un’esauriente informazione sulle sue condizioni di salute e, soprattutto, sulle conseguenze e sui rischi dell’accettare il trattamento stesso, sia esso diagnostico che terapeutico. Nel rapporto con la persona assistita è necessario considerare e tutelare il suo diritto alla salute: ciò implica una chiara e veritiera informazione a partire dalle finalità della visita medica, degli esami strumentali o di laboratorio, nel rispetto della privacy e della dignità della persona stessa, che ha il diritto di rifiutare o revocare nei tempi previsti qualsiasi trattamento, supportata in ciò da quanto definito all’art. 1 della legge 219/2017. Nella gestione sanitaria di una persona che abbia subito una qualsiasi forma di violenza, il consenso all’esame clinico e forense può essere letto non solo come un dovere, ma anche come una scelta terapeutica ed etica per restituire integrità, dignità e rispetto al corpo violato. Il termine “violenza” racchiude infatti il concetto di mancato consenso ad un atto sulla propria persona. La raccolta di materiale biologico a fini clinici e forensi, gli esami strumentali e l’esame obiettivo che può richiedere alla paziente o al paziente di mostrare la sua nudità potrebbero essere vissuti dalla persona assistita come un’ulteriore violenza. Al contrario, è importante comunicare in modo corretto e completo alla persona assistita ogni singolo passaggio diagnostico-terapeutico e la sua specifica finalità, motivando ogni gesto e ottenendo il suo consenso, con pazienza ed empatia. Questo approccio è fondamentale anche per un primo recupero terapeutico di natura psicologica che, in un momento di acuzie come quello di una violenza appena vissuta, potrebbe essere di fondamentale importanza per affrontare e rielaborare l’abuso subito. Ottenere il consenso da un soggetto adulto, capace di intendere e volere non è di difficile gestione; diventa invece più complesso nel caso in cui la persona assistita sia incosciente, minorenne o in qualsiasi altra condizione che comprometta la sua capacità di intendere e di volere. Nel caso di un minore, infatti, la situazione risulta ancora più critica quando il minore stesso riferisce una violenza subita da parte dei genitori o quanto vi sia il sospetto di una violenza vissuta tra le mura domestiche. In questi casi, infatti, il personale sanitario si trova a dover decidere se fornire ai genitori, potenziali abusanti, qualsiasi tipo di informazione medica, che possa - anche indirettamente - arrecare danno al minore. In questi casi, dunque, la responsabilità genitoriale non può prevalere sullo sviluppo dei valori e dell’individualità del minore, ed è in questo equilibrio tra responsabilità genitoriale e tutela dal danno al minore che il personale sanitario può trovare una giustificazione etica alle proprie scelte.
2023
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