La vicenda, all’origine dell’ordinanza in esame, ha inizio negli Stati Uniti, dove due donne unite in una stabile relazione affettiva concepiscono due figli, un maschio e una femmina, attraverso inseminazione artificiale da donatore sconosciuto, decidendo poi di adottare reciprocamente l’una il figlio biologico dell’altra. In tal modo, entrambe le madri ottengono l’adozione del minore che non hanno concepito, con una corrispondente responsabilità genitoriale che si aggiunge a quella del genitore naturale. La coppia, inoltre, dopo una lunga convivenza e una fase di domestic partnership, contrae matrimonio nel 2013 nello Stato di Washington. Il nucleo familiare si trasferisce a vivere in Italia, dove la madre adottiva della bambina – in possesso di cittadinanza italiana e statunitense – presenta ricorso al Tribunale per i minorenni di Bologna, ai fini di ottenere il riconoscimento della sentenza straniera, che le aveva attribuito lo status di genitore adottivo. Il Tribunale, valutando, per le ragioni che si approfondiranno nel presente scritto, di non poter tutelare l’interesse del fanciullo, decide di sollevare questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale. L’ordinanza in esame pone alcuni interessanti profili di riflessione tutti attinenti, nel loro complesso, al ruolo che la tutela dell’interesse del minore può avere come «controlimite», rispetto ai divieti di genitorialità prescritti sul piano interno. In questo caso, un eventuale riconoscimento di legami familiari formatisi in altri ordinamenti si realizzerebbe attraverso una prevalenza del best interest of the child sui limiti imposti dalla normativa nazionale. In senso opposto, invece, una lettura dell’interesse del minore, modellata sui limiti interni, rischierebbe di determinare, non riconoscendo lo status filiationis, un vulnus al diritto del bambino di non essere privato della propria famiglia.

I legami omogenitoriali formatisi all’estero all’esame del giudice delle leggi: come tutelare l’interesse del minore?

Daniele Ferrari
2015-01-01

Abstract

La vicenda, all’origine dell’ordinanza in esame, ha inizio negli Stati Uniti, dove due donne unite in una stabile relazione affettiva concepiscono due figli, un maschio e una femmina, attraverso inseminazione artificiale da donatore sconosciuto, decidendo poi di adottare reciprocamente l’una il figlio biologico dell’altra. In tal modo, entrambe le madri ottengono l’adozione del minore che non hanno concepito, con una corrispondente responsabilità genitoriale che si aggiunge a quella del genitore naturale. La coppia, inoltre, dopo una lunga convivenza e una fase di domestic partnership, contrae matrimonio nel 2013 nello Stato di Washington. Il nucleo familiare si trasferisce a vivere in Italia, dove la madre adottiva della bambina – in possesso di cittadinanza italiana e statunitense – presenta ricorso al Tribunale per i minorenni di Bologna, ai fini di ottenere il riconoscimento della sentenza straniera, che le aveva attribuito lo status di genitore adottivo. Il Tribunale, valutando, per le ragioni che si approfondiranno nel presente scritto, di non poter tutelare l’interesse del fanciullo, decide di sollevare questione di legittimità davanti alla Corte costituzionale. L’ordinanza in esame pone alcuni interessanti profili di riflessione tutti attinenti, nel loro complesso, al ruolo che la tutela dell’interesse del minore può avere come «controlimite», rispetto ai divieti di genitorialità prescritti sul piano interno. In questo caso, un eventuale riconoscimento di legami familiari formatisi in altri ordinamenti si realizzerebbe attraverso una prevalenza del best interest of the child sui limiti imposti dalla normativa nazionale. In senso opposto, invece, una lettura dell’interesse del minore, modellata sui limiti interni, rischierebbe di determinare, non riconoscendo lo status filiationis, un vulnus al diritto del bambino di non essere privato della propria famiglia.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11579/165313
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