Questo articolo offre un'analisi approfondita del trattamento delle ferite di battaglia nell’antichità, esplorando sia la rappresentazione letteraria che le pratiche mediche, con un focus sulla tensione tra il ruolo divino e quello umano nella guarigione. Attraverso un approccio interdisciplinare, si evidenzia come le fonti antiche affrontino con difficoltà le fasi intermedie della guarigione, i processi di recupero complicato e le conseguenze della disabilità. Mentre i testi mitologici, come la narrazione di Filottete, anticipano tali problematiche, la letteratura medica conferma questa lacuna, limitandosi spesso a descrivere tecniche per rimuovere armi o frecce senza riuscire a prevedere l’evoluzione delle ferite. Emblematico è il caso di Celso, che elenca ferite che, a suo avviso, è meglio non trattare per non compromettere la reputazione del medico. Nel contesto letterario, l’Iliade (4, 189-219) introduce un paradigma in cui la guarigione completa è prerogativa divina, riservata agli eletti degli dèi. Questo modello, ripreso da Virgilio nell’Eneide (12, 387-390), marginalizza il ruolo del medico umano, riflettendo una visione confermata dalle tracce implicite conservate nelle fonti tecniche. L’assenza di un corpus sistematico dedicato alla medicina militare obbliga a un lavoro di decodifica basato su un insieme frammentario di fonti e testimonianze indirette. L’articolo mette in luce l’evoluzione della percezione e del trattamento del ferito di guerra, dalle narrazioni epiche alla tarda antichità, sottolineando la complessità delle pratiche di guarigione e il contrasto tra l’ideale mitologico e la realtà pratica della medicina sul campo.
Le conseguenze della violenza militare. Ferite e guarigioni sul campo di battaglia da Omero al tardo antico
BORGNA, Alice
2023-01-01
Abstract
Questo articolo offre un'analisi approfondita del trattamento delle ferite di battaglia nell’antichità, esplorando sia la rappresentazione letteraria che le pratiche mediche, con un focus sulla tensione tra il ruolo divino e quello umano nella guarigione. Attraverso un approccio interdisciplinare, si evidenzia come le fonti antiche affrontino con difficoltà le fasi intermedie della guarigione, i processi di recupero complicato e le conseguenze della disabilità. Mentre i testi mitologici, come la narrazione di Filottete, anticipano tali problematiche, la letteratura medica conferma questa lacuna, limitandosi spesso a descrivere tecniche per rimuovere armi o frecce senza riuscire a prevedere l’evoluzione delle ferite. Emblematico è il caso di Celso, che elenca ferite che, a suo avviso, è meglio non trattare per non compromettere la reputazione del medico. Nel contesto letterario, l’Iliade (4, 189-219) introduce un paradigma in cui la guarigione completa è prerogativa divina, riservata agli eletti degli dèi. Questo modello, ripreso da Virgilio nell’Eneide (12, 387-390), marginalizza il ruolo del medico umano, riflettendo una visione confermata dalle tracce implicite conservate nelle fonti tecniche. L’assenza di un corpus sistematico dedicato alla medicina militare obbliga a un lavoro di decodifica basato su un insieme frammentario di fonti e testimonianze indirette. L’articolo mette in luce l’evoluzione della percezione e del trattamento del ferito di guerra, dalle narrazioni epiche alla tarda antichità, sottolineando la complessità delle pratiche di guarigione e il contrasto tra l’ideale mitologico e la realtà pratica della medicina sul campo.File | Dimensione | Formato | |
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Alice BORGNA, Le conseguenze della violenza militare. Ferite e guarigioni sul campo di battaglia da Omero al tardo antico, Classica et Christiana 18 1 2023 45-77.pdf
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