E’ frequente rinvenire nelle trattazioni civilistiche l’affermazione per cui il divieto di patti successorii si porrebbe in continuità col diritto romano, come peraltro sostenuto da ampia parte della dottrina romanistica. In seno a quest’ultima, tuttavia, non mancano visioni differenti che, sulla base di un’attenta analisi delle fonti, restituiscono il problema alla sua dimensione storica, e ne circoscrivono la portata in maniera considerevole. In questa prospettiva, il presente saggio considera l’ampiezza dell’espressione ‘mortis causa capere’, usata dai giuristi classici per indicare una particolare categoria di acquisti patrimoniali, determinati da negozi disposti in vista della propria morte. Tali negozi non hanno natura testamentaria, e sono evidentemente costruiti in una dimensione contrattualistica. Emblematico, in tal senso, l’esempio della donatio mortis causa, lo sviluppo della cui dottrina in relazione al mortis causa capere sembra doversi ricondurre all’autorità di Giuliano, che affiora ripetutamente – ancora in età severiana – in frammenti giurisprudenziali non esenti da contraddizioni ed oscurità, per la maggior parte raccolti nel titolo XXXIX.6 del Digesto di Giustiniano. L’esame dei testi permette di ripercorrere la storia della menzionata influenza giulianea sui giuristi delle età successive e spinge ad un ulteriore approfondimento della ricerca sul rapporto tra la riflessione dei prudentes e la produzione autoritativa del considerato settore del diritto.

Il divieto di patti successorii e gli acquisti a causa di morte nel diritto romano

Pierfrancesco Arces
2021-01-01

Abstract

E’ frequente rinvenire nelle trattazioni civilistiche l’affermazione per cui il divieto di patti successorii si porrebbe in continuità col diritto romano, come peraltro sostenuto da ampia parte della dottrina romanistica. In seno a quest’ultima, tuttavia, non mancano visioni differenti che, sulla base di un’attenta analisi delle fonti, restituiscono il problema alla sua dimensione storica, e ne circoscrivono la portata in maniera considerevole. In questa prospettiva, il presente saggio considera l’ampiezza dell’espressione ‘mortis causa capere’, usata dai giuristi classici per indicare una particolare categoria di acquisti patrimoniali, determinati da negozi disposti in vista della propria morte. Tali negozi non hanno natura testamentaria, e sono evidentemente costruiti in una dimensione contrattualistica. Emblematico, in tal senso, l’esempio della donatio mortis causa, lo sviluppo della cui dottrina in relazione al mortis causa capere sembra doversi ricondurre all’autorità di Giuliano, che affiora ripetutamente – ancora in età severiana – in frammenti giurisprudenziali non esenti da contraddizioni ed oscurità, per la maggior parte raccolti nel titolo XXXIX.6 del Digesto di Giustiniano. L’esame dei testi permette di ripercorrere la storia della menzionata influenza giulianea sui giuristi delle età successive e spinge ad un ulteriore approfondimento della ricerca sul rapporto tra la riflessione dei prudentes e la produzione autoritativa del considerato settore del diritto.
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