Pur a fronte di un esponenziale aumento delle controversie per danni da errore medico, la responsabilità disciplinare del sanitario risulta raramente azionata, restando “nell’ombra” del più annoso problema delle responsabilità, del medico e/o della struttura sanitaria, nei confronti del danneggiato. Secondo l’autrice, la centralizzazione non della responsabilità per inadempimento del sanitario, singolo autore del fatto illecito, ma dell’attività svolta dalla e nella struttura sanitaria dovrebbe ritenersi coerente con la piena attuazione della funzione assicurativa del contratto di lavoro subordinato: nella distribuzione del rischio, il contratto accolla al datore di lavoro il rischio di inefficienze del lavoratore, i rischi dell’atto medico, i costi per la difesa della struttura nell’eventuale azione civile; il lavoratore, dal canto suo, a fronte della “sicurezza” del rapporto, pagherebbe un premio assicurativo in termini di subordinazione e minor retribuzione rispetto a un’attività resa in regime di lavoro professionale. Resta purtuttavia la contestuale ricostruzione giurisprudenziale di una posizione debitoria ampia del medico nei confronti del proprio datore di lavoro, improntata ad una “diligenza qualificata” dai contorni alquanto variabili e talvolta imprevedibili. Con il fine allora di oggettivare il criterio generale astratto della diligenza richiesta s’inserisce il tentativo di cui alla legge cd. Gelli-Bianco che formalizza, attraverso linee guida e buone pratiche assistenziali, la misura della perizia richiesta all’esercente la professione sanitaria. Nella perdurante ricerca di un equilibrio, l’ordinamento tenta di addivenire ad un punto di incontro tra la medicina ed il diritto, i cui limiti intrinseci risiedono soprattutto nella diversa declinazione delle “certezze” che ciascuna scienza è in grado di esprimere: sostanziali, che governano o devono governare il diritto, e “a posteriori” per la medicina, sovente dimostrabili solo con il successo del trattamento prescritto. Nel tentativo di colmare la profonda diversità tra la “certezza processuale”, pertinente l’ambito giurisprudenziale e patrimonio estraneo ad ogni affermazione medico-naturalistica, e la “certezza medica”, viene inaugurato un sistema inedito, ad impronta pubblicistica, quantomeno nella fase di controllo, del sapere scientifico. Ma non solo. La l. Gelli-Bianco sembra delineare un subsistema normativo in cui il procedimento disciplinare viene soppiantato dal giudizio di rivalsa, che progressivamente acquisisce natura contrattuale/sanzionatoria. Si fa riferimento ai caratteri dell’azione ma anche alla quantificazione dell’importo della condanna che, ai sensi del comma 5, risulta del tutto svincolata dal danno effettivamente arrecato all’ente pubblico, facendone venir meno qualsiasi valenza risarcitoria.
Responsabilità sanitaria e responsabilità disciplinare dopo la cd. riforma Gelli-Bianco
Santini F.
2020-01-01
Abstract
Pur a fronte di un esponenziale aumento delle controversie per danni da errore medico, la responsabilità disciplinare del sanitario risulta raramente azionata, restando “nell’ombra” del più annoso problema delle responsabilità, del medico e/o della struttura sanitaria, nei confronti del danneggiato. Secondo l’autrice, la centralizzazione non della responsabilità per inadempimento del sanitario, singolo autore del fatto illecito, ma dell’attività svolta dalla e nella struttura sanitaria dovrebbe ritenersi coerente con la piena attuazione della funzione assicurativa del contratto di lavoro subordinato: nella distribuzione del rischio, il contratto accolla al datore di lavoro il rischio di inefficienze del lavoratore, i rischi dell’atto medico, i costi per la difesa della struttura nell’eventuale azione civile; il lavoratore, dal canto suo, a fronte della “sicurezza” del rapporto, pagherebbe un premio assicurativo in termini di subordinazione e minor retribuzione rispetto a un’attività resa in regime di lavoro professionale. Resta purtuttavia la contestuale ricostruzione giurisprudenziale di una posizione debitoria ampia del medico nei confronti del proprio datore di lavoro, improntata ad una “diligenza qualificata” dai contorni alquanto variabili e talvolta imprevedibili. Con il fine allora di oggettivare il criterio generale astratto della diligenza richiesta s’inserisce il tentativo di cui alla legge cd. Gelli-Bianco che formalizza, attraverso linee guida e buone pratiche assistenziali, la misura della perizia richiesta all’esercente la professione sanitaria. Nella perdurante ricerca di un equilibrio, l’ordinamento tenta di addivenire ad un punto di incontro tra la medicina ed il diritto, i cui limiti intrinseci risiedono soprattutto nella diversa declinazione delle “certezze” che ciascuna scienza è in grado di esprimere: sostanziali, che governano o devono governare il diritto, e “a posteriori” per la medicina, sovente dimostrabili solo con il successo del trattamento prescritto. Nel tentativo di colmare la profonda diversità tra la “certezza processuale”, pertinente l’ambito giurisprudenziale e patrimonio estraneo ad ogni affermazione medico-naturalistica, e la “certezza medica”, viene inaugurato un sistema inedito, ad impronta pubblicistica, quantomeno nella fase di controllo, del sapere scientifico. Ma non solo. La l. Gelli-Bianco sembra delineare un subsistema normativo in cui il procedimento disciplinare viene soppiantato dal giudizio di rivalsa, che progressivamente acquisisce natura contrattuale/sanzionatoria. Si fa riferimento ai caratteri dell’azione ma anche alla quantificazione dell’importo della condanna che, ai sensi del comma 5, risulta del tutto svincolata dal danno effettivamente arrecato all’ente pubblico, facendone venir meno qualsiasi valenza risarcitoria.| File | Dimensione | Formato | |
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