Il lavoro si propone di riflettere su un profilo del potere del giudice penale che nasconde inesplorate problematiche di natura sistematica. Infatti, la facoltà del giudice del giudizio e dell'appello di dare in sentenza una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella contenuta nell'imputazione, introdotta già con il codice di procedura penale del 1913, è sempre stata annoverata tra le principali manifestazioni extracivilistiche del brocardo iura novit curia. Tuttavia, la rinnovata cornice costituzionale dei principi che caratterizzano il processo penale e l'attento controllo esercitato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sul rispetto dei canoni del processo equo, hanno suggerito all'autore di indagare in termini critici la menzionata opinione generale, nel tentativo di verificarne la tenuta. In quest'ottica, il lavoro cerca, in primo luogo, di sondare il significato del canone iura novit curia e di accertarne l'effettiva riconducibilità al novero dei principi generali, immanenti, dell'ordinamento. Raggiunto un approdo tendenzialmente positivo, l'attenzione si concentra nel revocare in dubbio l'assimilazione del potere di riqualificazione del fatto in sentenza a tale canone: la complessità dell'operazione spinge a ricorrere agli strumenti della logica e della semantica, il cui apporto conduce, anche sotto questo profilo, a un riscontro positivo. Ma se lo iura novit curia appartiene ai principi generali dell'ordinamento e la riqualificazione del fatto in sentenza deve considerarsi una sua espressione, l'autore si domanda quale sia il possibile punto di equilibrio con altri precetti di rango costituzionale in materia penale – come la tutela della pienezza del contraddittorio tra le parti – che paiono porsi, soprattutto alla luce di una consolidata prassi giurisprudenziale, in posizione di irrimediabile contrasto. Il tentativo di rispondere al quesito si articola, in primo luogo, nello studio delle manifestazioni – normative e giurisprudenziali – che il potere di riqualificazione del fatto in sentenza assume nei diversi gradi del processo penale e, successivamente, nell'analisi di tale quadro alla luce delle garanzie dettate dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e, soprattutto, attraverso la lente dell'interpretazione offertane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'esito è rappresentato dal riconoscimento di una palese aporia tra principi fondamentali dell'ordinamento che, tuttavia, potrebbe essere fortemente ridotta, nell'opinione dell'autore, da alcuni accorgimenti interpretavi delle norme codicistiche già esistenti, i quali, pur imponendo un certo self restraint da parte, soprattutto, della Corte di cassazione, renderebbero meno urgente un intervento legislativo in materia.
RIQUALIFICAZIONE DEL FATTO NELLA SENTENZA PENALE E TUTELA DEL CONTRADDITTORIO
QUATTROCOLO, Serena
2011-01-01
Abstract
Il lavoro si propone di riflettere su un profilo del potere del giudice penale che nasconde inesplorate problematiche di natura sistematica. Infatti, la facoltà del giudice del giudizio e dell'appello di dare in sentenza una qualificazione giuridica del fatto diversa da quella contenuta nell'imputazione, introdotta già con il codice di procedura penale del 1913, è sempre stata annoverata tra le principali manifestazioni extracivilistiche del brocardo iura novit curia. Tuttavia, la rinnovata cornice costituzionale dei principi che caratterizzano il processo penale e l'attento controllo esercitato dalla Corte europea dei diritti dell'uomo sul rispetto dei canoni del processo equo, hanno suggerito all'autore di indagare in termini critici la menzionata opinione generale, nel tentativo di verificarne la tenuta. In quest'ottica, il lavoro cerca, in primo luogo, di sondare il significato del canone iura novit curia e di accertarne l'effettiva riconducibilità al novero dei principi generali, immanenti, dell'ordinamento. Raggiunto un approdo tendenzialmente positivo, l'attenzione si concentra nel revocare in dubbio l'assimilazione del potere di riqualificazione del fatto in sentenza a tale canone: la complessità dell'operazione spinge a ricorrere agli strumenti della logica e della semantica, il cui apporto conduce, anche sotto questo profilo, a un riscontro positivo. Ma se lo iura novit curia appartiene ai principi generali dell'ordinamento e la riqualificazione del fatto in sentenza deve considerarsi una sua espressione, l'autore si domanda quale sia il possibile punto di equilibrio con altri precetti di rango costituzionale in materia penale – come la tutela della pienezza del contraddittorio tra le parti – che paiono porsi, soprattutto alla luce di una consolidata prassi giurisprudenziale, in posizione di irrimediabile contrasto. Il tentativo di rispondere al quesito si articola, in primo luogo, nello studio delle manifestazioni – normative e giurisprudenziali – che il potere di riqualificazione del fatto in sentenza assume nei diversi gradi del processo penale e, successivamente, nell'analisi di tale quadro alla luce delle garanzie dettate dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo e, soprattutto, attraverso la lente dell'interpretazione offertane dalla Corte europea dei diritti dell'uomo. L'esito è rappresentato dal riconoscimento di una palese aporia tra principi fondamentali dell'ordinamento che, tuttavia, potrebbe essere fortemente ridotta, nell'opinione dell'autore, da alcuni accorgimenti interpretavi delle norme codicistiche già esistenti, i quali, pur imponendo un certo self restraint da parte, soprattutto, della Corte di cassazione, renderebbero meno urgente un intervento legislativo in materia.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.